Il Napoleone che finge di non essere in esilio

Editore del gruppo L'Espresso, industriale e uomo pubblico, per non dare di sé immagine del perdente Carlo De Benedetti rinnega l'impegno passato nel partito. "Io con Veltroni? Non scherziamo". Non si rassegna ai successi del Cavaliere e dice: "Italia fuori dai radar del mondo"

Il Napoleone che finge di non essere in esilio

Le persone che si sentono importanti sono prigioniere di una sindrome che si chiama ipertrofia dell’Io. Non è un insulto. Persino io ne sono afflitto, malgrado tutti gli antiossidanti che prendo. Ma un campione di questa ipertrofia, sia detto anche con una certa ammirazione, è l’editore industriale uomo politico Carlo De Benedetti. Lo conobbi quando ero a Repubblica una sera durante una cena a casa di Eugenio Scalfari e lo ricordo come uno dal faccione gioviale ma il temperamento di un duro. Non potrebbe essere diversamente. Ora, noi lo conoscevamo come il padrino del Partito democratico, quello con la tessera numero uno. Nulla di male. Se uno ci crede, perché no? Ma ecco che ieri il suo io ipertrofico lo ha portato a rinnegare il figlio illegittimo avuto con Walter Veltroni (e sì che il Dna è anche suo) e a dire, durante una trasmissione mattiniera: «Non ho mai avuto, non ho e non avrò mai la tessera di alcun partito. Speravo che le battute fossero valutate come tali». Battute? Ma nessuno si era mai permesso di definire battute dei motu proprio dell’editore politico industriale. Figurati tu chi si azzarda. E invece oggi, tutto all’aria.
Ma non basta. È tipico dell’io ipertrofico (parlo per esperienza e per una naturale attitudine al bonapartismo) pensare e purtroppo dire «Dopo di me il diluvio», anche se la testa coronata era un’altra. Dunque De Benedetti, questo è innegabile, si gettò a capofitto in politica, scatenò la potenza di fuoco dei suoi giornali e si ritrovò alla fine non a Parigi, ma nella Sant’Elena che costituisce la inevitabile punizione dei bonapartisti falliti. E allora, nell’io ipertrofico, scatta la questione del diluvio. Tuttavia oggi siamo progrediti, il diluvio è una cosa antiquata, abbiamo nel carnet mostri più attuali come il ciclone Caterina, l’onda anomala, lo tsunami. Ecco, l’io ipertrofico, ma moderno, di De Benedetti gli fa scegliere lo tsunami e lo applica. A chi? Ma all’Italia, naturalmente. Seguitemi: il processo mentale è sottile.
Se io ho un io ipertrofico, sono stramiliardario, ho mass-media che possono mettere in ginocchio chiunque, ho ambizioni politiche economiche e finanziarie proporzionate alla mia ipertrofia, alla fine non mi aspetto sant’Elena, l’esilio, l’oblio, l’emarginazione, per di più nel momento del trionfo assoluto del suo mortale nemico e concorrente e cioè un altro padrone di media, un altro grande industriale e politico, che però è ridiventato presidente del Consiglio – e questo sarebbe niente – ma governa con un consenso schiacciante che lo stesso giornale di De Benedetti ha dovuto registrare: l’odiato Berlusconi si porta via il 63 per cento e passa della platea, compresa tanta gente che ha votato a sinistra e che però trova niente male, anzi proprio buono l’inizio di governo del Cavaliere. Se esistesse uno strumento di fantasia quale il rodometro, potremmo sapere quanto gli rode a De Benedetti questa situazione e dunque, come dargli torto, mettendosi con i piedi nelle sue lucide scarpe.
E allora ecco che fa il suo ingresso nella retorica ipertrofica lo tsunami del dopo (o senza) di me il diluvio. Era a un convegno dell’Aspen su Israele, quando ha confidato allo sbalordito pubblico: «L’Italia - ha proseguito - è un Paese che è stato cancellato dagli schermi radar del mondo. Recentemente sono stato negli Stati Uniti e per la prima volta dopo molti anni non mi hanno chiesto nulla del nostro Paese. Con la sola eccezione del nostro passato - ha incalzato - se arrivasse uno tsunami nessuno si accorgerebbe che l’Italia non c’è più». Eccolo qui lo tsunami di Ivrea. Il diluvio. Voi vedete che il Paese di nome Italia, nella mente di un ipertrofico quale sono (ma molto modestamente) io, ma più ancora in quella di un vero e legittimo patentato professionista, diventa un Paese scomparso dai radar (immagine di straordinaria potenza: bellissima, complimenti vivissimi), un’isola d’Elba in mezzo all’oceano dove al massimo conviene coltivare patate come faceva l’esiliato Napoleone, ma che nessun nota sulle carte geografiche.
Naturalmente, per poter accedere ad una iperbole così magniloquente occorre tornare prima indietro nel passato e cancellare le tracce che potrebbero condurre a dare di te l’immagine di uno sconfitto. Ed ecco la rivisitazione della tessera numero uno del Pd, che viene rinnegata insieme all’impegno politico, le partecipazioni alle primarie, gli ammiccamenti alla leadership agognata e mai veramente dichiarata per un senso misto di orgoglio, paura e pudore. «Io un tesserato del partito di Veltroni? Ma siete pazzi? Non si può neanche scherzare in questo Paese e ti prendono sul serio». Sì, d’accordo, questa è un po’ la buccia di banana, ma siamo sempre lì: bisogna capire e ci vuole pazienza. D’altra parte dire che l’Italia non conta nulla è purtroppo una piccineria. I lettori di questo Giornale sanno quanto poco (nulla per l’esattezza) io sia d’accordo con la politica filo-russa del presidente del Consiglio, ma è un dato di fatto che il suo governo conta, ha voce in capitolo, pone veti all’Europa e li fa valere contro le eventuali sanzioni a Mosca, si presenta e viene accettato, magari obtorto collo, come l’interlocutore mediatore, quello che apre a Gheddafi in modo strategico costringendo Condoleezza Rice a correre anche lei nella terra del rais per fare pace e voltare pagina.
De Benedetti è anche sfortunato perché appena ha aperto bocca una delle più potenti banche d’America è crollata e il governo americano si è dovuto trasformare in socialista spendendo i soldi del tax payer per salvare le assicurazioni. Una rivoluzione copernicana dovuta allo tsunami dell’economia mondiale dove l’Italia galleggia con strutture spesso solide (banche, mutui, assicurazioni) mentre il Regno Unito attraversa la sua più grave crisi degli ultimi cinquant’anni.
Tutto è relativo, d’accordo, ma anche le fregnacce, se possiamo esprimere un parere plebeo. Certo, l’Italia è il fanalino di coda della ricerca scientifica, dell’istruzione, della qualità della vita dei bambini nelle grandi città e infatti è un Paese da rifare e qualcuno sta provando a fare qualcosa. Ma questo è per l’io ipertrofico inaccettabile. L’io pietrifico nega la realtà, dipinge Armageddon, evoca lo tsunami, si vede in un quadro confuso in cui comanda un’arca come quella di Noè, ma ha di fronte l’ammiraglio Nelson, che rappresenta la pura e semplice realtà, sconfitta e rinnegata dall’ipertrofia.

Dunque, con il rispetto dovuto a uno che sa combattere con le unghie e con i denti, uno che mandò in bestia Cossiga con la storia delle telescriventi scassate, che ha avuto – lui sì – eccellenti e fraterni rapporti d’affari con la vecchia Unione Sovietica, con tutto il rispetto, dicevamo, dobbiamo per forza di cose registrare queste dichiarazioni di Carlo de Benedetti come quelle di uno sconfitto che ha scambiato la sua sant’Elena con l’Italia.

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