Gianni Pennacchi
nostro inviato a Napoli
E Q.W., cinese 33enne scaricato come un sacco di patate al pronto soccorso del Pellegrini con ferite da taglio alle braccia e tre dita mozzate da un colpo preciso e secco di mannaia, lo mettiamo nel conto o non fa notizia? Nel bollettino di guerra dal fronte napoletano le faide della mafia cinese passano in second'ordine davanti al sangue versato ormai a fiotti dalla camorra. Ancora tre morti ammazzati ieri, è una mattanza. Lo Stato e le istituzioni assistono impotenti. La città subisce con timore e con la stessa rassegnazione che accompagna gli sguardi sui cumuli di immondizia che crescono agli angoli delle strade. In dieci giorni 12 morti ammazzati, più di uno al giorno. E le montagne di rifiuti in dieci giorni han raggiunto l'altezza di 11 metri, toccano le finestre dei primi piani. Ecco Napoli, affogata nel sangue e soffocata dalla spazzatura.
Sorriso amaro da umorismo noir, ma vedete che l'indulto non fa poi sempre bene ai pregiudicati? Gli ultimi due cadaveri son rotolati terra, freddati da una scarica di proiettili, a Torre del Greco in via Alcide De Gasperi, una strada importante che conduce sulla litoranea. Gran scorrere di auto, ma nessuno ha visto niente ovviamente, anche se l'esecuzione s'è svolta a poche decine di metri dalla caserma della guardia di finanza. Pare che i due viaggiassero insieme su uno scooter, son stati affiancati da altri due in motocicletta, forse col casco o forse senza, quello dietro ha puntato la pistola sparando a ripetizione sulle vittime designate, poi l'altro alla guida ha accelerato dileguandosi sulla litoranea che da Torre del Greco porta a Torre Annunziata. Tant'è, la vita per Adriano Cirillo e Pasquale Pecoraro s'è fermata alle 18 di ieri, 37 anni il primo 31 il secondo. «Pluripregiudicati», li definisce la polizia. Cirillo stava scontando quattro anni per rapina, era tornato da poco in libertà grazie all'indulto. Ambedue da considerarsi affiliati al clan di Gaetano Di Gioia, nemico del clan al quale apparteneva Luciano Loffredo, ucciso venerdì scorso in un agguato sempre a Torre del Greco. Vendetta e ritorsione tra due gruppi scissionisti di un clan storico, quello Falanga, come impone la legge di guerra: tu ne ammazzi uno a me, io te ne faccio secchi due.
Più tardi, quando i familiari delle due vittime sono accorsi in via De Gasperi ormai transennata e presidiata, i due corpi pietosamente coperti da un lenzuolo, la motoretta riversa sul bordo della strada, rivoli di sangue a bagnar l'asfalto, s'è creata una forte tensione con le forze di polizia. Pianti e urla di dolore, strazio e rabbia. E impotenza. Il primo morto di ieri invece, s'è avuto mezz'ora prima a Sant'Antimo, paesone dell'hinterland napoletano. Rodolfo Pacilio, 36 anni, «con precedenti penali di lieve entità» riferiscono le fonti ufficiali, aveva una ditta di videogiochi proprio sull'Appia, la grande statale che attraversa Sant'Antimo. L' «Appia giochi» si chiama. Pacilio riforniva bar e locali della zona di macchinette mangiasoldi, videogiochi e videopoker. Cosa sia successo, anche per questa povera vittima non si sa bene, probabilmente la solita coppia di killer è entrata nell'«Appia giochi», ne ha freddato il titolare a colpi di pistola senza nulla rubare. Delitto di camorra, sentenziano gli inquirenti. La zona «appartiene» al clan Pezzella ed è contesa dal clan Moccia, i signori di Afragola. Oggetto della guerra, lo stesso fra tutti i clan vecchi e nuovi ormai da dieci giorni: il controllo delle piazzette per lo spaccio di droga.
A questo punto, volete notizie del cinese al quale han mozzato le dita della mano destra? In un bagno di sangue, chi sopravvive non merita racconto. E poi la mafia cinese è materia mitica e oscura, più lontana di quella nostrana anche se fiorisce a San Giuseppe Vesuviano. Ove la comunità cinese è assai numerosa, e i conti se li regolano a colpi di mannaia se Q.W. non è il primo ed anzi ha avuto un omologo appena la settimana scorsa. La settimana scorsa, quando i morti ammazzati dall'inizio di quest'anno di grazia erano «soltanto» 61 - ora siamo a quota 70 - e le montagnole di buste di plastica insaccate di putridume, cartoni e cassette a sfascio, materassi vecchi e rifiuti puteolenti, erano alte soltanto 5 metri. Ora, raggiungono le 20 mila tonnellate. Dev'esserci un arcano legame tra il sangue e l'immondizia, con numeri utili anche per il lotto.
Tant'è che i morti e i cumuli di rifiuti non si vedono e non si notano soltanto nei quartieri vetrina, a Posillipo, Santa Lucia, intorno al palazzo della Regione, mentre se vai a Capodimonte, anche a ridosso del museo, la visione è da bolgia infernale. Dev'essere un mago, Antonio Bassolino. Dove li fa stoccare quei privilegiati rifiuti affinché non appestino sotto le sue finestre? Il governatore però, ieri sera ha sentenziato che «sono giorni duri e terribili per Napoli». Ma come il sindaco Rosetta Iervolino, attende il 9 novembre, quando qui scenderà il governo a sottoscrivere il «Patto per Napoli sicura». Anche il sindaco dice che «la situazione è drammatica», ma non vuole l'esercito e ironizza che «è benvenuto se porta l'immondizia nelle caserme». Però la gente di Napoli è di tutt'altro parere.
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