Camorra, il boss Moccia andò in udienza dal Papa

Nel 2017 Angelo e la moglie erano presenti ad una udienza generale a piazza San Pietro. Al "ruolo" dei Moccia nell'Alta velocità è dedicato un intero paragrafo dell’ordinanza della procura

Camorra, il boss Moccia andò in udienza dal Papa

I numeri del blitz compiuto nella mattinata di mercoledì 20 aprile dai carabinieri del Ros e dai finanzieri del Gico contro la criminalità organizzata e in particolare il clan Moccia sono davvero imponenti: 59 misure cautelari emesse, 84 persone indagate e sequestri per 150 milioni di euro. Un durissimo colpo contro il gruppo che da Afragola, nel Napoletano, ha allungato i suoi tentacoli anche in altre aree.

Potere che deve essere anche in qualche modo ostentato. Nell’informativa allegata alle pagine del provvedimento emerge che Angelo Moccia, uno dei fratelli ritenuti a capo dell'omonimo clan, e Giovanni Esposito, considerato un "colletto bianco" del gruppo, insieme alle rispettive mogli, si sono recati in udienza generale da Papa Francesco. Era l’ormai lontano 22 marzo del 2017. Sia chiaro, il Vaticano è fuori da questa storia.

Si trattava, infatti, di un’udienza pubblica in piazza San Pietro per la quale era sufficiente essere in possesso di un biglietto di ingresso. Tagliandi che erano stati procurati da Mauro Esposito, titolare di un bar situato in via della Conciliazione. Il Papa, come è ovvio che sia, non era al corrente di chi fossero i suoi ospiti. Ma per il boss mostrare la foto con il Santo Padre era motivo di prestigio. E questo i carabinieri del Ros lo hanno riscontrato grazie a un’intercettazione ambientale del maggio 2018. Domenico Caputo, considrato essere affiliato al clan, vede che nell’ufficio di Giovanni Esposito è presente una foto di quest’ultimo con il Pontefice. A quel punto commenta: "Oh, oh, vedi chi c’è là… Ma quella è la foto che ti facesti con il Papa?".

"Effettivamente - si legge nell'ordinanza - Giovanni Esposito e la moglie Rosa Aubry partecipavano a Roma all'udienza con il Papa Bergoglio in data 22 marzo 2017 congiuntamente ad Angelo Moccia e la moglie Carmela De Luca attraverso la mediazione di Mauro Esposito".

Il lavoro degli inquirenti è stato lungo e complesso. Nell’ordinanza compostta da 1.984 pagine i pm Ida Teresi e Giorgia De Ponte hanno ricostruito tutte le attività illecite della cosca. Il clan si occupava di estorsioni a piccole attività commerciali ma anche di appalti per la costruzione della stazione dell'Alta velocità ad Afragola. E proprio al "ruolo" dei Moccia nell'Alta velocità nell’ordinanza è dedicato un intero paragrafo. "Gli accertamenti relativi al coinvolgimento del clan in una delle più importanti opere infrastrutturali degli ultimi anni, costruita peraltro nella roccaforte del clan, consentivano di individuare numerose società a vario titolo risultate beneficiarie di contratti di appalto o subappalto riconducibili a soggetti legati a doppio filo alla famiglia Moccia", ha scritto il gip.

Le imprese erano in possesso di regolari titoli e certificazioni antimafia, condizione necessaria per poter operare. Uno di questi soggetti è il già citato Giovanni Esposito, cui fa capo la società Kam Costruzioni, colui che accompagnò Angelo Moccia in piazza San Pietro. Il clan aveva anche necessità di reinvestire gli ingenti capitali a disposizione che derivavano dalle attività illecite. Dalle indagini condotte dal Ros e dal Gico è emerso il clan aveva deciso di puntare sul business dello smaltimento degli olii esausti e degli scarti di macellazione.

Tra le persone finite ai domiciliari figurano anche due funzionari dell'unità territoriale Rfi (Rete ferroviaria italiana, ndr) di Napoli Est. Secondo l'accusa e in base a quanto riportato nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Maria Luisa Miranda, avrebbero intascato 29mila euro e avrebbero alterato i conti per maggiorare fittiziamente i costi sostenuti dalla Kam Costruzioni, adottando anche accorgimenti tecnici per evitare che la società subisse controlli da dicembre del 2017 al 2018. I carabinieri del Ros sono anche riusciti a monitorare le riunioni durante le quali alle parti in causa per gli appalti della stazione dll'Alta velocità di Afragola veniva assegnata la quota da investire.

Appena appresa la notizia Rfi si è subito attivata diffondendo una nota nella quale si spiega che "nei confronti di uno ha già attivato idonee procedure, riservandosi ogni ulteriore iniziativa non appena disponibili le informazioni occorrenti. L'altro, invece, non risulta più in organico". Nel documento si evidenzia che "Rfi, che comunque nella vicenda si ritiene parte lesa, si attiverà per avere evidenza degli atti al fine di conoscere il nome delle ditte coinvolte nell'inchiesta e il loro ruolo negli appalti. A quel punto potrà adottare, anche nei loro confronti, le più appropriate iniziative che possono includere l'inibizione dal sistema di qualificazione e la sospensione dei contratti eventualmente ancora attivi".

Dalle indagini è anche emerso che la

contabilità degli investimenti della famiglia era annotata su "pizzini" ed era stata suddivisa in "vecchia", quella relativa al periodo compreso il 2000 e il 2016, e "nuova" che va da agosto 2016 al 2019.

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