Coronavirus

De Luca soffoca la Campania, ma non l’illegalità

Basta spostarsi verso la stazione per capire il fallimento dello Stato. Non esistono leggi: centinaia di migranti ammassati senza mascherine, spavaldi difronte agli agenti di polizia

De Luca soffoca la Campania, ma non l’illegalità

In Campania è vietato! È vietato bere un caffè, è vietato mangiare una pizza, è vietato rigenerarsi con una buona sfogliatella riccia. Anche frolla, un vero reato dopo aver fatto più di undici chilometri a piedi. È vietato baciarsi (anche se con le mascherine è un po’ complicato, soprattutto quando deve essere il primo). È vietato fare la pipì anche in un bar. In Campania è vietato. Tutto vietato. Vietato anche respirare. L’arrogante sceriffo di Salerno soffoca la sua regione, le sue città. Emette, dispone ordina: “Divieto di vendita con asporto di bevande, alcoliche e non alcoliche, con esclusione dell’acqua, dalle 11 del mattin..” Un provvedimento inutile, sterile, vuoto tanto quanto i suoi proclami del venerdì pomeriggio. È così che lo sceriffo senza lanciafiamme prova a fermare il virus. Invano. Le sue città non si fermano. Camminano, corrono. Come il virus negli ospedali, che non cambiano. Nonostante la pandemia.

Mentre ristoratori e baristi sono costretti ad ergere pareti divisorie fatte di tavolini e sedie per bloccare i clienti, per i piccoli vicoli partenopei va in scena la solita routine. Il solito spettacolo. Va in scena Napoli che, a Natale, si trasforma. Diventa magica. “Un presepe” dicono loro. E come dargli torto. Più ti addentri tra i vicoli e più vieni rapito. E non dagli scippatori in motorino. Da splendidi palazzi nobiliari, da ricche chiese barocche, come quella del Gesù nuovo. Napoli, la sua gente, i suoi colori, i suoi odori. Polipi sbattuti su lastre di marmo usurate dal tempo; l’acqua che gocciola dai panni stesi al terzo piano tra un palazzo e l’altro; le urla del pescivendolo che propone fresche vongole veraci; il sordo e deciso rumore della mannaia affilata che taglia un pezzo di carne. Il sangue caldo che gocciola sulle pietre levigate da chissà quante scarpe. I capitoni vivi che si agitano dentro a delle enormi vasche blu in attesa di essere venduti per il cenone. La gente, tanta gente. Che parla, urla. Si assembra. Spesso senza mascherina. È questa Napoli, è questa oggi la città che Vincenzo De Luca ha provato a spegnere. Peccato, però, che non abbia funzionato. La sua ordinanza è un torto agli imprenditori onesti che, con fatica, vanno avanti. Molti hanno chiuso, altri stanno per farlo. Si sente la puzza della fame. Si percepisce. “Non sappiamo più come fare, avete visto il nostro grande presidente ci ha voluto chiudere senza nessun motivo. Non è che con un caffè al banco o sulla soglia aumentano i contagi. Ci ha penalizzati. Solo a noi che abbiamo bar e ristoranti, gli altri fanno quello che vogliono. Le guardie vanno avanti e indietro per vedere se facciamo un caffè di troppo passate le undici. Stanno lì, pronti a farci la multa. E chi la paga? Chi ha i soldi? Ci stanno cacciando tutto, anche la dignità. Dottore, lei lo vuole un buon caffè?” Mi dice il proprietario di uno storico bar a Spaccanapoli, insolitamente vuoto. Rispondo senza esitare: “Sì, se può.” “Certo, con zucchero o senza?” “Zuccherato, grazie.” “Entri dentro, se dovesse venire qualche guardia dica che voleva solo andare in bagno e prendere una bottiglietta d’acqua minerale. Si metta qua dietro e se lo prenda, lo beva. Occhio eh. In fretta.” Come un ladro prendo il caffè rischiando di ustionarmi, buono. Ottimo. Una volta uscito mi imbatto nella Guardia di Finanza. Per fortuna ho la mascherina, l’odore del caffè non può tradirmi. Faccio finta di nulla, li osservo.

Scrutano, guardano, controllano con fare sospetto. Ma sono nel posto sbagliato, tra la gente sbagliata. È nel quartiere Forcella, Porta Nolana, Pigna Secca, Sanità che la Guardia di Finanza deve controllare. È terra di nessuno. Lì, le ordinanze dello sceriffo, non li rispetta nessuno. Fanno cilecca, come il suo lanciafiamme. Venditori ambulanti di sigarette di contrabbando sono disseminati su tutta la via, venditori ambulanti di calzini continuano ad importunarti, quelli che spacciano stanno lì, all’angolo, al solito posto in attesa. C’è di tutto. Anche la polizia municipale in divisa che si gira dall’altra parte. Perché mi chiedo… Provo a chiedere ad un poliziotto della municipale e risponde facendo spallucce: “Eeeee… sapesse”.

Basta spostarsi verso la stazione, andare al Vasto, per capire il fallimento dello Stato. Non esistono leggi, regole. Centinaia di africani ammassati senza mascherine, spavaldi difronte agli agenti di polizia. Uno sputa per terra, ad un metro da me. “Vede, non è giusto! Noi siamo perseguitati, e loro? A loro non fanno nulla.” Ci dice un’anziana ed esausta signora sulla settantina con la borsa stretta al petto e un piccolo barboncino al guinzaglio. Come darle torto. Mentre De Luca spegne le attività legali ignora quelle illegali. Finito il giro mangio una pizza a portafoglio, piegata in quattro e venduta in mezzo alla strada. “È un modo per rimanere aperti e non mandare a casa i ragazzi che lavorano con me. Come farebbero senza stipendio? A quest’ora la pizzeria sarebbe stata piena, ci sarebbe stata la fila fuori per entrare. E invece, vede qui come siamo costretti a fare? A fare gli ambulanti.” In una città dove nemmeno Glovo è in grado di consegnare una pizza in hotel questo è l’unico modo per guadagnarsi da vivere e non cadere nelle mani della criminalità organizzata che sta lì, pronta ad agguantare e a non mollare.

Meglio arrangiarsi e, qualche volta, disubbidire alle regole insensate come quelle di Vincenzo De Luca.

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