RomaE ora basta. Basta con «le esposizioni mediatiche», basta con «il protagonismo», con le «missioni improprie», con «le chiusure corporative», con i «personalismi» che mettono «in dubbio limparzialità», basta pure con «le polemiche» contro il mondo della politica. E soprattutto, basta «con la confusione dei ruoli», come quella di Lorenzo Nicastro che, dopo aver indagato in Puglia su Fitto, si è candidato nelle liste pugliesi dellIdv. Basta. Se i magistrati vogliono «recuperare la fiducia dei cittadini», avverte il capo dello Stato, «serve una seria autocritica». Secca la replica dellAnm: «Difficile farlo quando si è attaccati».
Stavolta Giorgio Napolitano non risparmia sulle parole. Ricevendo al Quirinale i 298 vincitori dellultimo concorso, il presidente si lancia in una profonda requisitoria sui mali della giustizia. Cè, innanzitutto, una grave crisi di consenso «sia per il funzionamento inefficiente, sia per lincrinarsi dellimmagine e del prestigio» delle toghe. Se la classe dei giudici intende risalire la china, «non può sottrarsi a una seria riflessione critica su se stessa e deve proporsi le necessarie autocorrezioni, rifuggendo da visioni autoreferenziali». Certo, «non è un percorso facile» eppure bisogna imboccarlo per «stemperare le esasperazioni» e superare lo scontro con la politica, un «problema che crea apprensione».
No, non la manda a dire Napolitano, che disegna lidentikit di quello che dovrebbe essere il magistrato perfetto: «È una funzione che esige equilibrio, serenità e sobrietà di comportamenti. Il suo unico fine è quello di applicare e far rispettare le leggi attraverso un esercizio della giurisdizione che coniughi il rigore con la scrupolosa osservanza delle garanzie previste per i cittadini». Ma il modello non corrisponde alla realtà. È ora di finirla, insiste il presidente, con le manette-show: «Non dimenticate che i casi su cui vi pronunciate promanano da situazione spesso difficili e dolorose». Perciò le norme vanno applicate senza dimenticare «il profondo rispetto della dignità della persona». Per cui, prosegue il capo dello Stato, «non cedete alle esposizioni mediatiche, non sentitevi investiti da missioni esorbitanti». Scordatevi quegli «atteggiamenti protagonistici e personalistici» che mettono in ombra professionalità e imparzialità.
Ecco il concetto chiave, lindipendenza. Una condizione che non si difende solo tutelandosi dagli attacchi, ma «adottando comportamenti consapevoli, senza dissimulare insufficienze professionali e tollerare casi di inerzia e di cattiva conduzione di uffici». È stata la Corte costituzionale a ricordarlo e oggi il Csm, «definendo una risoluzione che ho molto apprezzato», prenderà atto della «confusione di ruoli che discende se un magistrato si propone per incarichi politici nella sede in cui ha esercitato». Il caso Nicastro, appunto.
Ma adesso largo ai giovani.
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