Napolitano guida il partito pro-crocifisso

RomaGiorgio Napolitano, che pure è un laico di radici comuniste, lo considera «un simbolo universale di pace e tolleranza». Silvio Berlusconi lo definisce «un complesso di valori e una lezione di servizio e di amore portata a considerare l’estremo sacrificio». Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, lo vede come «l’espressione dell’identità dell’Italia». E Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ricorda che «la laicità non comporta l’esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici».
Insomma, giù le mani dal crocifisso. La battaglia contro la sentenza della Corte europea di Strasburgo, che il 30 giugno deve decidere sul ricorso italiano dopo aver vietato l’esposizione del simbolo cristiano negli uffici e nelle scuole pubbliche, trova a Roma Stato e Chiesa sulle stesse posizioni. Il Cavaliere ricorda «di essere stato il primo a novembre ad esprimere sconcerto per il divieto inaccettabile» e a presentare ricorso: «Una scelta inaccettabile non solo per l’Italia ma per buona parte dell’Europa. Sono stato tra coloro - insiste il premier - che in sede di formazione della nuova Costituzione ha chiesto che fossero adeguatamente riconosciute le radici giudaico-cristiane della cultura europea. Sono convinto che non possiamo non dirci cristiani». Da qui la difesa di un simbolo che racchiude «un complesso di valori che ha sostenuto negli anni lo sviluppo delle coscienze e ha rafforzato le convinzioni di tante eroiche personalità». Conclusione: «Il messaggio cristiano è ancora vivo e attuale in ogni parte della Terra».
Ma parole molto nette arrivano anche dal Quirinale. Napolitano sfrutta l’occasione di una lettera di Claudio Zucchelli, presidente di Umanesimo Cristiano, per far sapere come la pensa sull’argomento. Innanzitutto, spiega, «nella laicità dello Stato bisogna riconoscere la rilevanza pubblica e sociale del fatto religioso». Poi, occorre sottolineare l’importanza della «comune missione educativa cui sono chiamate le autorità politiche ed ecclesiali, sia pure in ambiti e piani diversi e in assoluta indipendenza». In Italia, secondo il capo dello Stato, i cattolici hanno dato buona prova anche in politica: e cita don Sturzo, De Gasperi, Bachelet. Il punto è quindi di «salvaguardare il tradizionale patrimonio identitario espresso dalla millenaria presenza cristiana».
Quanto all’Europa, per Napolitano sarebbe meglio che sui temi etici evitasse le semplificazioni. Certe decisioni dovrebbero infatti essere lasciate ai singoli Stati «che sono in grado di percepire la valenza dei simboli in rapporto ai sentimenti diffusi nelle rispettive popolazioni». Il principio guida della Ue, aggiunge, dovrebbe essere «inclusivo e non esclusivo», nel senso che «la laicità dell’Europa non può ferire sentimenti popolari elementari e profondi ma deve essere disposta ad accogliere le tradizioni più diverse». La chiave sta «nell’evitare contrapposizioni e integralismi, specialmente riguardo a simboli che hanno assunto significati universali di pace e tolleranza».
Per il cardinal Bertone il problema va al di là del fatto religioso perché «l’esposizione dell’icona di Cristo è un’espressione identitaria, strettamente connessa con la storia d’Italia, che richiama alla solidarietà e al dialogo tra le persone di buona volontà». Secondo il cardinal Bagnasco la laicità non c’entra nulla. «L’esposizione del crocefisso nelle scuole italiane non è un’imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono come un segno di apertura al dialogo, di sostegno a favore dei bisognosi e dei sofferenti, senza distinzione di etnia, nazionalità e fede».

E per Maurizio Sacconi, ministro delle Politiche sociali, «il Cristo è il simbolo di una laicità adulta, la sintesi della nostra tradizione». Del resto, lo riconobbero pure i grandi partiti popolari del dopoguerra: Dc, Pci, Psi.

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