Anna Maria Greco
da Roma
Il segnale è forte: Nicola Mancino viene eletto vicepresidente del Csm allunanimità e alla prima votazione. È quello che auspicava Giorgio Napolitano e il presidente della Repubblica, che presiede a palazzo de Marescialli il plenum dellorgano di autogoverno della magistratura, ma non vota, sottolinea che «il largo consenso» nell'elezione, dopo laccordo bipartisan in Parlamento per l'elezione dei componenti laici, è «un nuovo, sicuro indizio di un percorso che tende a privilegiare il metodo del dialogo e della ricerca di ampie e motivate convergenze nelle decisioni sui più importanti problemi in materia di giustizia».
Si apre, dunque, la stagione delle larghe intese sulla giustizia tra politica e magistratura, dopo quella della conflittualità che ha visto Virginio Rognoni al posto numero 2 del Csm? Lo stesso Napolitano, il ministro della Giustizia Clemente Mastella e il leader dellUdc Pier Ferdinando Casini hanno lanciato appelli in questo senso e ora è proprio Mancino ad annunciare la svolta: «Vorremmo essere una famiglia del dialogo, che rende un servizio al Paese». Dialogo tra tutti i componenti del Csm, per «aprire una fase che può essere presa ad esempio anche nel mondo politico e nel Paese». Perché lobiettivo è il «miglioramento dei rapporti tra politica e giustizia». Il vecchio dc, ora «padre nobile» della Margherita, approda al Csm dopo 30 anni di Senato (che ha presieduto tra il 1996 e il 2001) e dopo aver guidato il Viminale tra il 1992 e il 1994. Di esperienza da mediatore ne ha da vendere e Napolitano conta sulla sua «concretezza». «Le pari opportunità - dice Mancino - vanno non solo affermate ma anche attuate con iniziative sul piano legislativo». Avverte che è urgente «migliorare, non cancellare» la riforma Castelli; precisa che la via dellamnistia era «impraticabile» e annuncia che a settembre si discuterà su un possibile ritorno al vecchio Csm, con 30 membri invece di 24.
Tutti sembrano convinti che la stagione del confronto è iniziata, ora che togati delle varie correnti e laici di centrodestra e centrosinistra, si mostrano compatti. Di «clima diverso» parla Mastella, che si augura il «più ampio consenso» politico per modificare la riforma sullordinamento giudiziario. E di dialogo un po tutti, da Casini al Ds Salvi, dal leader della Margherita Rutelli allazzurro Schifani, a Matteoli di An. Si congratulano i presidenti delle Camere Marini e Bertinotti e anche lex Guardasigilli leghista Castelli.
Dialogo è, insomma, la parola dordine. Ma Napolitano sa che le scelte politiche possono poco se prevale la logica corporativa, se lAnm non rinuncia allo scontro e, per incominciare, allo sciopero di settembre per il rinvio dellesame in Senato del ddl che sospende parti del nuovo ordinamento giudiziario. Così, assicura che sarà «garante dei valori» della magistratura, ma ammonisce il Csm a «operare al di fuori di logiche strettamente correntizie, che si sono rivelate di ostacolo a un corretto esercizio delle sue funzioni». Raccomanda uninversione di rotta con il passato, i protagonismi, la politicizzazione, gli scontri e la difesa pregiudiziale di tutte le toghe. «Serenità, riservatezza ed equilibrio - dice - rappresentano per i magistrati il primo presidio della loro autonomia e della loro indipendenza». E il Csm deve tutelarli «da qualsiasi forma di delegittimazione, ma anche, ove necessario, a richiamarli a non discostarsi dall'osservanza del loro codice etico». Non solo pratiche a tutela e spartizioni di nomine tra le correnti, dunque, ma anche richiami e condanne a chi non fa il proprio dovere.
Il Capo dello Stato affronta la spinosa questione dei pareri del Csm e delle modifiche alla riforma Castelli. Spiegando che «la trasparenza delle decisioni consiliari e lo stretto collegamento con il ministro della Giustizia» saranno utili quando il Parlamento esaminerà le correzioni al testo, oltre che norme sulla durata dei processi.
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