Roma - L’incontro, riferiscono le fonti, è «lungo e franco», cioè teso e centrato sul tema del giorno. E il dialogo, quello riflette il momento politico e psicologico del Paese. «Frena Silvio, o qui si spacca tutto». «Va bene presidente, ma io sono vittima di un complotto. Sono l’uomo più perseguitato della storia». «Capisco, però bisogna abbassare i toni. La situazione sta diventando ingestibile». «Mi difendo come posso perché devo governare».
Va avanti più o meno così, per un’ora e mezzo, con Gianni Letta che media e con Silvio Berlusconi che si sfoga «per il complotto dei pm», annuncia una riforma «senza strappi» della giustizia e cerca una sponda nel Colle. La sponda, nel senso di un intervento di Giorgio Napolitano per riportare i magistrati nel loro alveo, non la trova. Trova un consiglio: difenditi il tribunale, non in Parlamento, perché nel codice si sono tutti gli strumenti per un giusto processo. E trova pure una parziale rassicurazione. «Gli strappi mediatici», come le intercettazioni e certe inchieste-show, «non possono mai portare alla giustizia».
Più di questo adesso, più di una neutralità preoccupata, il Cav da Napolitano non può ottenere. Superati gli equivoci dei giorni scorsi, il capo dello Stato ha deciso di riceverlo subito, assieme a Gianni Letta, per evitare altre inutili frizioni e ascolta anche con una certa comprensione i lamenti del premier sull’«aggressione mediatico-giudiziaria». Condivide pure le preoccupazioni di Berlusconi sul rischio che lo scontro in atto si trasferisca dalle istituzioni alle piazze.
Però, avverte il capo dello Stato, è proprio per questo motivo che occorre un disarmo bilanciato. «Non sono io a essere preoccupato, non conta. È l’Italia a essere preoccupata». Napolitano teme insomma di finire in un «clima ingestibile» e chiede a tutti un passo indietro. Del resto quello che pensa del braccio di ferro tra Berlusconi e i giudici lo ha chiarito poche ore prima del vertice, quando, ricevendo l’ufficio di presidenza del Csm, ha ricordato che «nella Costituzione e nella legge possono trovarsi i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali per far valere insieme le ragioni della legalità e quelle del giusto processo». Basta allora con le strattonate: «Fuori di questo quadro, ci sono solo le tentazioni di conflitti istituzionali e di strappi mediatici che non possono condurre, per nessuno, a conclusioni di verità e di giustizia».
Parole che al Cavaliere sembrano leggermente sbilanciate, anche se, gli spiega Napolitano, il Quirinale non fa il tifo per nessuno. La preoccupazione del capo dello Stato, se la crisi arriverà a un punto di non ritorno, è quella di preservare la neutralità del Colle. Tra l’altro lo scontro con i giudici ha provocato una certa stasi nei lavori parlamentari e di governo. E su questo punto i due sembrano d’accordo. Berlusconi dice che l’interesse primario è che sia consentito al presidente del Consiglio di governare per il bene del Paese, facendo le necessarie riforme, tra cui la giustizia, e non perdendo tempo dietro a mille «assurdi» processi. Senza contare il danno che sta subendo l’immagine italiana.
E quando Napolitano gli chiede prudenza, il Cav lo rassicura in tutti modi: nessuna forzatura sulla giustizia, nessun decreto, nessuna voglia di aprire un fronte con il Quirinale. Tutti i provvedimenti saranno ampiamenti discussi e condivisi in Parlamento. La maggioranza al Senato non ha problemi e alla Camera ha i numeri per andare avanti, anzi altri se ne aggiungeranno, e quindi «ha il dovere di farle» queste riforme, senza condizionamenti che arrivano da altri poteri dello Stato. Tra le cose da cambiare, secondo il premier, c’è soprattutto l’attuale sistema delle intercettazioni.
La giustizia occupa ovviamente il novanta per cento dello spazio e del tempo del vertice.
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