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Napolitano scrive, Feltri risponde

Il Quirinale diffonde una nota per precisare il suo ruolo nella vicenda che ha portato alla bocciatura del Lodo Alfano Ma la verità non cambia: il presidente non è stato ascoltato dalla Corte Costituzionale. E questa è per lui una sconfitta

Napolitano scrive, Feltri risponde

Per Napolitano la ricostruzione fatta dal Giornale, sull’intesa Colle-governo e sui suggerimenti del Quirinale per correggere il Lodo Alfano, non corrisponde al vero e lo sostiene nella nota che pubblichiamo qui sotto. Ma il direttore del Giornale conferma tutto. Nomi e cognomi compresi.

E' del tutto falsa l’affermazione che al Quirinale si siano «stipulati patti» su leggi la cui iniziativa, com’è noto, spetta al Governo, e tantomeno sul superamento del vaglio di costituzionalità affidato alla Consulta. Una volta rilevata, da parte del Presidente della Repubblica, la palese incostituzionalità dell’emendamento «blocca processi» inserito in Senato nella legge di conversione del decreto 23 maggio 2008, il Consiglio dei Ministri ritenne di adottare il disegno di legge Alfano in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Il Presidente della Repubblica ne autorizzò la presentazione al Parlamento, e successivamente - dopo l’approvazione da parte delle Camere - promulgò la legge. Tale promulgazione, comunque motivata, non poteva in nessun modo costituire «garanzia» di giudizio favorevole della Corte in caso di ricorso. Il rispetto dell’indipendenza della Corte Costituzionale e dei suoi giudici - doveroso per tutti - ha rappresentato una costante linea di condotta per qualsiasi Presidente della Repubblica. La collaborazione tra gli uffici della Presidenza e dei Ministeri competenti è parte di una prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione, che lascia intatta la netta distinzione dei ruoli e delle responsabilità. 

di Vittorio Feltri

Caro Presidente, non era e non è mia intenzione giocare con le parole. Nel mio articolo di ricostruzione dei fatti, non ho accennato a «patti stipulati» come invece si legge nel suo comunicato di risposta. Ho scritto una cosa molto diversa: «patto fra gentiluomini». Che non significa contratto con tanto di firme e timbri, bensì accordo fra persone perbene che non ha bisogno dei crismi dell’ufficialità. E proprio di questo si è trattato. Lo si evince anche dalle ultime quattro righe del suo stesso comunicato: «La collaborazione fra gli uffici della Presidenza e dei Ministri competenti è parte di una prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione...».
Nel caso specifico è stata una cooperazione molto intensa, tanto è vero che alla stesura del testo ha partecipato attivamente il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, già capo di gabinetto del ministro Diliberto (Grazia e giustizia), il quale non penso abbia agito senza informarla su quanto andava facendo per rendere approvabile il Lodo.
D’altronde codesta Presidenza ha accompagnato la legge con una nota in cui si rammentava che il provvedimento teneva conto delle osservazioni e delle correzioni suggerite dalla Consulta. E ciò nella sostanza confermava la volontà del Quirinale di predisporre la «pratica» affinché non incontrasse ostacoli per l’approvazione dei giudici, senza per questo violare l’indipendenza della Corte. La quale in effetti ha preso una decisione contraria rispetto alle attese di chi aveva cooperato alla stesura della norma, cioè il ministro Alfano e il Quirinale che avevano lavorato - ripeto - di concerto.
A questo punto non è difficile concludere che la Consulta non ha accolto il parere della Presidenza, e che il governo - dopo aver collaborato invano con la più alta istituzione allo scopo di non avere brutte sorprese - è rimasto col cerino in mano.


Gli sconfitti dunque sono due: il premier e lei, Presidente.

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