Massimiliano Scafi
da Roma
L’«angoscia» del presidente. L’«allarme» per questi che sono «tra i peggiori giorni» di Napoli. La fotografia spietata di una città ferita, impaurita, in «emergenza non solo criminale, ma ambientale, sociale e culturale». E l’invito pressante a muoversi: fate qualcosa, dice Giorgio Napolitano, fatelo presto e fatelo tutti insieme, «con decisioni concordate», con «chiarezza» e nelle «rispettive responsabilità».
Già, ma fare che cosa? Mandare l’esercito? Rafforzare gli organici delle forze dell’ordine? Riempire le piazze di telecamere? Il capo dello Stato non vuole entrare nel merito della discussione tecnico-politica delle ultime ore. Per il Colle la soluzione migliore sarà quella «concertata» e soprattutto accettata da tutti. A Napoli però i soldati non li vuole nessuno. Non li vogliono sindaco e presidente della Regione, non li vogliono questore, procuratore e sindacati di polizia, non li vuole nemmeno il cardinale Sepe: «Quello che serve è una rivoluzione culturale». Peraltro, limitarsi a rimpolpare le file di polizia e carabineri forse non basta. Secondo il Quirinale la cosa più importante è mettersi attorno a un tavolo, «mettere le opinioni a confronto» e scegliere tutti insieme: inutile dividersi e litigare mentre lì ogni giorno si muore.
Infatti la striscia rossa s’allunga: nove giorni, dodici morti ammazzati per le strade del Golfo. Napolitano segue con apprensione quest’esplosione di violenza urbana e di faide camorriste. Segue anche il dibattito politico e le polemiche sulle misure da prendere e decide di metter nero su bianco le sue preoccupazioni. «Sto vivendo con angoscia questi giorni, tra i peggiori per Napoli che ricordi da lungo tempo. Giorni di emergenza non solo criminale, ma ambientale, sociale e culturale». Parole forti, angoscia ed emergenza, come forte è la situazione della città. Parole anche aspre, che sollecitano un approccio globale al problema, perché non è soltanto una questione di ordine pubblico. «Non posso ripetere l’allarme e gli appelli - insiste il capo dello Stato - che a cominciare dalla mia prima visita mesi or sono rivolsi in diverse direzioni». Adesso è il momento delle soluzioni: «Spetta a quanti hanno la guida del governo nazionale, del governo regionale e degli enti locali valutare insieme il da farsi, assumere decisioni concertate, operare nella chiarezza delle rispettive responsabilità».
La palla è a Palazzo Chigi. Romano Prodi, che domani sarà a Napoli, non esclude l’idea di spedire le truppe. «Su questo discorso - dice - si è aperta un’analisi per valutare i benefici di lungo periodo, perché questa volta la lotta non sarà fatta per placare l’opinione pubblica per qualche mese, ma sarà una lotta permanente per dare sicurezza ai cittadini. Non occorre una reazione emotiva ma una riorganizzazione di tutto lo Stato».
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