Napolitano si scopre solo e «dissidente»

Giorgio Napolitano, il dissidente. Dicono che Damasco sia una delle più antiche città del mondo e da qui l’Italia potrebbe sembrare lontana. Non è così. Il viaggio verso oriente non è una fuga. Non è neppure una pausa. Il presidente è stanco di prendere stoccate senza reagire, come se fosse una statua di gesso. È deluso. È irritato. È solo. Si è sentito abbandonato dal suo partito. Non ha gradito le difese di ufficio, i silenzi, gli imbarazzi, le mezze misure della classe dirigente del Pd. E poi è una vita, in gran parte vissuta da comunista, che non sopporta i giacobini.
Napolitano non è mai stato così lontano dalla sua storia. Mai. Neppure quando l’ala più fredda di Botteghe Oscure lo chiamava, con un certo disprezzo, il migliorista. A quel clima in fondo era abituato. Questa volta è diverso. Quello che vede lassù dal Colle è un’Italia dove le parole vengono scagliate ad alzo zero. È finito nel mirino di quella parte di opposizione, sempre più larga, che non ha mai accettato il verdetto elettorale. È un’opposizione che parla e straparla di leggi e costituzioni, ma si mostra sempre più visceralmente antidemocratica. Quasi impazzita di fronte all’idea che Berlusconi possa ancora governare. Quale è il delitto, la colpa, del dissidente Napolitano? Nel metalinguaggio di queste maschere pseudo partigiane il presidente è un collaborazionista. Di Pietro lo ha paragonato a Vittorio Emanuele di Savoia e come il re del fascismo è responsabile di non aver fermato la marcia su Roma. Impeachment. E lo ha indicato alle piazze. Impeachment, perché ha firmato ciò che non doveva firmare. Impeachment perché non ha deposto Berlusconi con un colpo di Stato. Il Pd, salmodiando a bassa voce che così non si fa, si è accodato. Napolitano ha tutti i buoni motivi per mandare i suoi ex compagni di partito a quel paese. Non lo fa, non è nel suo stile. Ma la rabbia resta e non la nasconde.
L’opposizione gli rimprovera il suo equilibrio. Lui è imbestialito con il gruppo Repubblica e con Micromega. Il guaio è che lo stanno martellando con uno stile antiberlusconiano. Di Pietro affonda, De Magistris ci mette il carico, Grillo urla, Travaglio pontifica, Rosy Bindi si trattiene, con le mani sulla bocca, Bersani mugugna, tutti mugugnano, solo D’Alema da bastian contrario dice che ha fatto bene a firmare il decreto salva liste. Il Fatto travagliesco, con un editoriale di Bruno Tinti, stigmatizza le sue ramanzine. La Jena sulla Stampa mette alla berlina i suoi moniti. Non c’è vilipendio che regga. Sul presidente è scattata la parola d’ordine dell’intellighenzia: si può colpire. Addio immunità. Addio rispetto. Lui da Damasco, quasi sornione, ha fatto capire di aver visto il gioco: «Vedo che si scherza, dando prova di creatività giornalistica, sui miei moniti. Io non sono uno che ammonisce, ma che pone problemi». È quello che fanno i dissidenti.
Napolitano non è un berlusconiano. Non c’è questa grande sintonia politica, culturale e istituzionale. Non sono mancati i momenti di dura coabitazione. Ma questo è ancora più indicativo. C’è un clima di intolleranza e avvicinarsi troppo al Cavaliere, perfino restare equidistanti, costa un’anatema morale. Diventi subito un bersaglio, un paria, un «fuorilegge». Ha vinto Di Pietro e la sua banda di intellettuali ottimati. Non c’è più destra o sinistra. C’è solo una dicotomia: o sei antiberlusconiano o sei un delinquente, un depravato, un venduto, un collaborazionista. Come Napolitano, il dissidente, un samizdat, uno che firma scritti illegali e clandestini.
Questo presidente assomiglia un po’ a certi comunisti emiliani o toscani, quelli raccontati in Avanti Po, da Paolo Stefanini. Come il Barontini, quello che ha stracciato le tessere del Pci, Pds, Ds, Pd, falci, martelli e stelle rosse e in tasca ha una rosa camuna e un fazzoletto verde. La Lega di Bossi lo sente come il suo presidente, anche se è napoletano e federalista.

Il Carroccio ha scoperto di avere un aplomb istituzionale. Non è più fucile e secessioni. E, soprattutto, tiene i toni bassi. Napolitano li stima e a chi lo guarda sorpreso, lui risponde: «Apprezzo chi apprezza le mie prese di posizione». Firmato: il dissidente.

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