Roma - Gravissima, abnorme, intollerabile, inefficiente, incompatibile con un Paese «ad economia avanzata», esposta agli «eccessi di discrezionalità» e ai «rischi di arbitrio», condizionata dall’«assunzione di missioni improprie» e dalle «smanie di protagonismo». Giorgio Napolitano saccheggia il vocabolario per definire la situazione della giustizia in Italia, fatta di processi interminabili, scontri tra procure, tracimazioni varie. Insomma, serve una riforma e serve subito, dice il capo dello Stato, perché «si pongono con urgenza problemi di equilibrio istituzionale». I poli mettano da parte «rissosità e pregiudizi» e si diano rapidamente da fare. «Si discuta in Parlamento e si cerchino soluzioni condivise».
Silvio Berlusconi non c’è, è bloccato a letto da uno strappo muscolare e riceve da Napolitano una «cordialissima» telefonata di auguri di pronta guarigione. Berlusconi non c’è, ma apprezza molto le parole che il presidente pronuncia nel Salone dei Corazzieri, nella cornice più solenne possibile, i saluti di Natale con le alte cariche dello Stato. Parole che fanno il pelo alle toghe e che in larga misura coincidono con le proposte di cambiamento avanzate dal Pdl. E in parte pure con quelle del Pd. «È vero, i rischi di arbitrio sono sotto gli occhi di tutti - commenta il Cavaliere -. I democratici aprano finalmente gli occhi, ora che si trovano nel mirino di certi giudici».
Sul tavolo di Napolitano ci sono ancora i dossier fumanti del braccio di ferro tra la procura di Catanzaro e quella di Salerno. «Un vero e proprio corto circuito istituzionale e giudiziario», che ha mandato definitivamente il tilt l’intero sistema. E che ha fatto franare, pare, anche gli ultimi tabù. Innanzitutto la Costituzione che, «l’ho detto più volte», non è intoccabile. Poi, la separazione dei ruoli nella magistratura: tra le «misure più urgenti», il presidente propone proprio di «cominciare dalla funzione inquirente e requirente». Al terzo posto, il Csm, con provvedimenti «che riguardino la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti». Al quarto, «la ridefinizione dei rispettivi ruoli della magistratura e delle forze dell’ordine»: non sarà meglio che a indagare siano gli specialisti, i poliziotti?.
E ancora, Napolitano reclama «fermi richiami a criteri di comportamento», come quelli sul «riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici», o come sui «limiti da osservare, spesso violati, nella motivazione dei provvedimenti giudiziari». O anche, «più semplicemente, quelli attinenti a un costume di serenità, riservatezza ed equilibrio, nel rigoroso rispetto delle regole». Una norma troppo spesso «sacrificata nell’assunzione di missioni improprie e smanie di protagonismo personale».
Ma la lista delle cose che non vanno prosegue con «la gravissima condizione della giustizia civile», i cui tempi biblici «frenano lo sviluppo e il dinamismo italiano». Bisogna anche intervenire subito «sull’intollerabile durata dei processi» e «scongiurare eccessi di discrezionalità e rischi di arbitrio». Il fine ultimo della riforma della giustizia dovrà essere il ripristino «dell’efficienza di uno Stato fondato sull’imperio della legge».
Ora la palla è alle forze politiche. «Si discuta di tutto ciò in Parlamento - dice ancora Napolitano - e attraverso ogni altro utile canale di consultazione, e si cerchino strade condivise». Si discuta e non si litighi, perché il risultato è vicino. «La politica della giustizia è materia controversa è scottante, eppure nel 1999 si riuscì a varare con una schiacciante maggioranza il principio del giusto processo». Oggi per il capo dello Stato bisogna riprovarci. «Sono gli eventi stessi, la complessità dei problemi che ha l’Italia, che esigono più pacati dibattiti e disponibilità ben maggiori». D’altronde, si chiede, «dove mai potrebbe condurre un’ulteriore esasperazione dei rapporti, la perdita del senso della misura, del limite nella polemica e perfino nel linguaggio corrente?». E se non volete ascoltare l’appello del presidente della Repubblica, insiste, «sentite quello che si attende il Paese».
Vale per la giustizia ma vale pure per il federalismo fiscale, sperando che «questa innovazione sia un fattore durevole di accresciuta efficienza dello Stato». E vale per l’altra grande emergenza di questi mesi, la crisi finanziaria.
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