Il narcisismo filantropico, male dell’Africa

Ho letto in questi giorni sulla stampa le esternazioni di Bob Geldof e Bono sugli aiuti all'Africa. Ancora una volta, delle «celebrities» hanno ritenuto di doversi fare portavoce dei bisogni e delle istanze di un continente e dei suoi popoli. E leggendoli trovo la conferma a quel che già pensavo e che ho scritto nero su bianco nel mio libro «Adottare la terra»: gli aiuti per miliardi di dollari iniettati per decenni dai donatori internazionali all'Africa sono serviti molto poco alla popolazione africana e decisamente di più ad altri, in primis al circo mediatico-spettacolare mondiale. Del resto, non sono solo io a dirlo, ma una giovane economista dello Zambia, un Paese africano: Dambisa Moyo, riconosciuta dal Time come una delle cento persone più influenti al mondo. La Moyo dice, in sostanza, che gli aiuti non hanno fatto altro che aumentare la povertà e paralizzare il continente africano, rinfocolando un sistema corrotto e fomentando le guerre civili tra chi voleva accaparrarsi il diritto a gestire quel fiume di danaro, deresponsabilizzando i governi locali nei confronti del proprio popolo o, semplicemente, spegnendo l'iniziativa individuale e collettiva, vero motore della crescita. Invece, quei Paesi - come l'India - che si sono ribellati agli aiuti internazionali hanno finalmente cominciato a crescere. Del resto, svariati anni prima di lei era stato un economista del calibro di Peter Bauer a sottolineare la perniciosità degli aiuti stranieri ai Paesi del Terzo mondo.
Non voglio dire che queste star, come le varie organizzazioni internazionali che si affannano a gestire il flusso di aiuti verso l'Africa, siano in malafede. Dico però che tanto zelo nasconde in realtà, spesso, il bisogno delle popolazioni e dei governi occidentali di lavarsi la coscienza. Senza contare che imbracciare una chitarra a forma d'Africa ha un ritorno d'immagine non indifferente. Poi, mi chiedo perché mai debba avere più voce in capitolo un gruppetto di cantanti occidentali, per quanto celebri, dei governanti africani nel dettare l'agenda e nel definire la ricetta per la crescita dei loro Paesi. Certo, invocare oggi lo stop agli aiuti equivale a un'eresia, per la quale i governi nazionali sarebbero pesantemente puniti dagli elettori. Nei colloqui privati, tutti - Stati, organismi internazionali, governanti locali - ammettono che è così, ma nessuno è disposto a perdere il ruolo da protagonista, o da comprimario, nel vasto proscenio della fame nel mondo. Io però credo che non si possa aiutare davvero qualcuno senza contemporaneamente innescare un processo, in qualsiasi parte del pianeta, che responsabilizzi ogni singolo cittadino.
Ciascuno, ne sono fermamente convinto, deve essere messo in condizione di decidere il proprio destino e di fabbricarselo secondo la propria storia, la propria identità, la propria capacità di sfruttare le risorse naturali.

È il principio, appunto, del mio «adottare la terra»; lo stesso che ha guidato i Paesi del G8 agricolo dello scorso anno in Italia (con buona pace di Geldof e Bono): contribuire, cioè, alla crescita potenziando le infrastrutture rurali, favorendo la microfinanza e aiutando le popolazioni a sviluppare e a gestire autonomamente i propri territori. Altrimenti, non faremo altro che soddisfare il nostro ipocrita narcisismo filantropico, condannando un intero continente all'immobilità.
* Presidente Regione Veneto

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