Narco-sequestro: liberati madre e bimbo

Alessia Marani

Zucchero al posto della cocaina. Una partita fasulla di 3 chili da 40mila euro che per poco non costa la vita a una donna colombiana di 23 anni e al figlioletto di appena 9 mesi, rapiti da un pregiudicato romano deciso a rientrare a tutti i costi del denaro perduto: «Ho tua moglie e tuo figlio - dice Marco Mariani, 40 anni, di Primavalle, precedenti per droga, reati contro il patrimonio e sequestro di persona, chiamando domenica al telefono Juan Carlos Maija, 25enne di Bogotà, l’intermediario dell’affare andato a monte e nel frattempo riparato in Spagna -, vedi di farmi riavere i soldi, sennò li ammazzo». Una storia di «sgarri» e narcotraffico all’ombra del Cupolone venuta alla luce solo per il timore di perdere il piccolo ancora in fasce. Un regolamento di conti che il romano era talmente convinto di «chiudere» in breve e fra «uomini d’onore» da agire con una certa «tranquillità», fino ad accompagnare persino in ospedale la donna e il bambino colpito da febbre alta. Un sequestro-lampo a cui gli uomini della Squadra Mobile di San Vitale hanno messo la parola fine nella notte tra martedì e mercoledì dopo essere stati avvisati dallo stesso Juan Carlos e avere organizzato un incontro-trappola tra i due. «Tutti i 40mila euro non ce l’ho - dice Juan Carlos chiamando Mariani martedì sera - ma ho disponibile un chilo di coca, vera, buonissima. Se ci vediamo te la dò e la facciamo finita con questa storia». E Mariani: «Vabbè, basta che ti sbrighi. Ma tu come vieni (all’appuntamento, ndr)? Non è che dobbiamo fare la guerra?». Già la guerra. Guerra tra bande: narcos degli spietati cartelli sudamericani da una parte, «batterie» della mala romana dall’altra. La stessa che avrebbe finanziato il carico che su piazza avrebbe fruttato almeno tre volte tanto. Lo scenario? Mariani, in tasca i «liquidi» sborsati dai mammasantissima della Capitale, contatta Juan Carlos per l’affare. Questo (come sostiene fin dall’inizio di fronte ai poliziotti) non fa altro che presentargli la persona «giusta». «Se poi - come ripeterà in questura agli sbirri della VII sezione Narcotici - ha ricevuto zucchero invece della coca, non è colpa mia». Juan Carlos non la pensa così. E se davvero deve rispondere del business fallito pure davanti ai «finanziatori», la faccenda rischia di prendere una piega del tutto inaspettata. Quindi la decisione di agire. Domenica telefona a Elisabeth Torres, la moglie di Juan Carlos, rimasta nella Città Eterna con il neonato. S’incontrano nei pressi del Colosseo. Mariani la fa salire in auto, la porta in una casa-nascondiglio al Circeo. Avverte il marito, durante il sequestro cambia un paio di schede telefoniche, ma parla tranquillo, non crede di essere ascoltato dagli «sbirri» sulle sue tracce. «Un’indagine per nulla semplice - spiega Alberto Intini, capo della Mobile - dapprima la telefonata dalla Spagna dell’uomo che dice di trafficare con la droga e di avere moglie e figlio rapiti. Poi l’arrivo di lui a Roma lunedì. Abbiamo individuato in poco tempo il covo sul litorale pontino. Ma non potevamo fare passi falsi e mettere a repentaglio la vita di mamma e figlioletto». Il blitz scatta alle 4 dell’altra notte. L’appuntamento è fissato in via Borromeo, proprio a Primavalle. Mariani fa prima un sopralluogo in macchina, non si accorge che il quartiere è blindato da decine di agenti in borghese e auto civetta. Prima di arrivare ha avuto anche lo scrupolo di fare visitare il piccolino al Policlinico Gemelli per un febbrone di 39 gradi. Poi lascia la donna e il bimbo nei pressi di una cabina telefonica in largo Arturo Donaggi, poco distante da via Borromeo. «Dov’è la droga?». Chiede Mariani al sudamericano. Ma a questo punto intervengono i poliziotti, liberano gli ostaggi, ammanettano il romano, da ieri a Regina Coeli con l’accusa di sequestro di persona.

Tutta da vagliare, invece, la posizione del colombiano, l’esistenza effettiva di un terzo uomo e lo spessore dei sodalizi criminali che avrebbero «garantito» l’approvvigionamento dello stupefacente sulla rotta Roma-Bogotà.

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