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Nasce il partito dei finiani ma il battesimo sembra un bluff

RomaCostretto a buttare le carte sul tavolo, Gianfranco Fini passa la giornata a serrare le fila dei suoi e a telefonare agli assenti da Roma per cercare adepti: «Il momento della scomunica è arrivato, stai con me?» è il senso del quesito posto ai suoi, ad uno ad uno. Il presidente della Camera ha tentato fino all’ultimo di evitare la conta interna ma adesso lo show down è arrivato: «Vedo».
In attesa del documento che sancisce il divorzio, ieri mattina i finiani sono subito entrati in fibrillazione con la parola d’ordine: «Gruppi autonomi». Attorno al finianissimo Italo Bocchino a Montecitorio si sono radunati in venti, numero sufficiente per la scissione parlamentare. Al Senato, invece, di parlamentari ne occorrono dieci. Nell’ufficio del presidente della Camera un lungo via vai: prima i deputati e poi i senatori. Tutti a chiedere: e adesso che si fa? Si butta giù il documento che, tuttavia, resta misterioso. Un via libera ai gruppi autonomi o soltanto una solidarietà a Fini? Gli ultras pensano persino al nome del nuovo gruppo: «Generazione Italia? Perché no? Qualcosa con “Italia” è molto probabile ma di certo senza il “Forza”», ironizza un finiano. In Transatlantico i frondisti snocciolano numeri: «Hanno firmato le dimissioni già in 33». Ed è su questa cifra che si scatena il pandemonio. Perché la lista, spacciata dai fedelissimi come elenco di esuli pronti alla scissione, in realtà raccoglie anche i nomi dei finiani più soft, che giurano di non avere la minima intenzione di lasciare il Pdl. Ed è proprio su questi ultimi che nella notte gli ultrà di Gianfranco hanno fatto pressioni con furibonde telefonate per chiedere in extremis le dimissioni da consegnare a Fini. Il quale, oggi, ha in programma una conferenza stampa.
Insomma, costretti obtorto collo a uscire allo scoperto e a tramutare la loro battaglia da guerriglia e guerra aperta, i finiani sono tutt’altro che compatti e di fatto si stanno contando ora. Tra loro c’è chi qualche mal di pancia per lo strappo ce l’ha eccome: un conto è il dibattito interno, l’istanza politica, la discussione; un altro dismettere la divisa del Pdl cucita addosso dagli elettori per indossarne un’altra. Quelli maggiormente imbarazzati sul da farsi sono coloro che attualmente ricoprono un incarico nell’attuale governo: il ministro per le Politiche europee Andrea Ronchi, il viceministro per lo Sviluppo economico Adolfo Urso, il sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia, quello al lavoro Pasquale Viespoli e quello alla Funzione pubblica Andrea Augello. Scomoda posizione la loro perché, qualora il governo domani decidesse di portare in Parlamento un provvedimento considerato irricevibile dai finiani, loro che farebbero? Voterebbero contro un testo della squadra di cui fanno parte? Un pasticcio. Sul punto i finiani sono cauti: «Troppo presto per capire cosa accadrà». Tuttavia c’è la possibilità che il neo gruppo possa scegliere l’appoggio esterno al governo: una sorta di pistola puntata al cuore dell’esecutivo. Ma poi che si fa? Si spara anche contro noi stessi? L’ipotesi di far sfilare i propri uomini dalla squadra di palazzo Chigi negli ambienti finiani è stata fatta eccome anche se «sarebbe l’extrema ratio». Di certo non farebbe piacere a quelli che la poltrona ora ce l’hanno, ma un domani...
Insomma, nessuna ortodossia. Un ex An osserva: «Chi mettono come capogruppo, Bocchino? Sarà contento Menia...», mettendo il dito nella piaga visto che i due, mesi fa, si erano insultati. E poi ce ne sono molti altri, le cosiddette colombe, che mal sopportano le uscite pirotecniche dei pasdaran Bocchino-Granata. Qualche nome: Silvano Moffa, Pasquale Viespoli, Andrea Augello, pontieri all’opera fino all’ultimo secondo.

Persino l’anziano Donato Lamorte, per cui Fini non si può abbandonare perché considerato un figlioccio, arriccia il naso di fronte alle sparate guappesche dell’ambizioso Bocchino.
Gli ultras, invece, già ragionano come fossero un vero e proprio partito, antitetico al Pdl e cercano di far passare Berlusconi come l’unico responsabile del patatrac.

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