Nasce il pentapartito

Con la futura uscita di Renzi dal Pd il governo ha 5 azionisti. Come negli anni ’80

Nasce il pentapartito

M anca ancora l’ufficialità ma tutto lascia intendere che tra poche settimane Matteo Renzi lascerà il Pd per dare vita a gruppi parlamentari propri, si prevede composti da una ventina di deputati e una decina di senatori. Un nuovo partito, per ora parlamentare ma un domani anche elettorale, si affaccia quindi sulla scena politica attraverso una «scissione non ostile», come spiegano gli stessi renziani. Cosa significhi quel «non ostile» è un mistero, visto che indebolisce il Pd di Zingaretti da tutti i punti di vista. Renzi, insomma, toglie il disturbo, si mette in proprio, accede al cospicuo finanziamento pubblico concesso ai gruppi parlamentari, avrà sue delegazioni ai tavoli di qualsiasi trattativa e, cosa importante, una quota certa delle quattrocento nomine, senza dovere più passare da Zingaretti, che il governo sarà chiamato a fare nei prossimi mesi.

Non male per uno dato per morto ancora poche settimane fa. Se la si giudica dal suo punto di vista (e dai suoi interessi) l’operazione non fa una grinza. Certo è che complica non poco la vita al premier Conte, il cui governo nato su un patto a due tra Cinque Stelle e Pd si ritroverà presto a essere un pentapartito Cinque Stelle-Pd-Partito di Renzi-Liberi e uguali-Maie (il partito degli italiani all’estero che conta un sottosegretario).

Tutti quelli che contavano sul grillismo per spazzare via la vecchia politica si ritrovano quindi cornuti e mazziati, alle prese con un «pentapartito» che è il simbolo - e fu la morte - del peggiore consociativismo della prima Repubblica. Hanno fatto un gran casino per ritrovarsi al punto di partenza, a quel patto tra Craxi, Andreotti e Forlani (dalle cui iniziali deriva il nome Caf) che permise a Dc e Psi di governare l’Italia degli anni Ottanta insieme ai repubblicani di Spadolini, al Psdi di Nicolazzi e ai liberali di Altissimo.

Le analogie tra il nascente pentapartito e l’originale non si fermano al numero dei soci di governo. Entrambi nascono in laboratorio contro qualcosa (l’ascesa del Pci, allora, della Lega e del centrodestra, ora), avere come obiettivo ultimo dell’anomala alleanza l’elezione di un capo dello Stato amico (l’accordo degli anni Ottanta prevedeva Andreotti o Forlani), oltre ovviamente a una spartizione di nomi e poltrone da manuale Cencelli.

Se fossi Conte non dormirei tranquillo. Per stare in piedi, la formula del pentapartito prevedeva la rotazione a premier, nel corso della legislatura, dei leader dei tre partiti principali, la famosa «staffetta» tra Spadolini, Craxi e De Mita. Non so se questo è quello a cui pensa Renzi ma conoscendo la sua indole diabolica non lo escluderei.

Morale,

anche in politica nulla si crea, nulla si distrugge e tutto (purtroppo) torna. Dal Caf (Craxi, Andreotti e Forlani) al DiReZi (Di Maio, Renzi e Zingaretti) di quarant’anni dopo. E dire che questi volevano fare la rivoluzione.

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