
Mani dalle dita smaltate e inanellate stringono un mozzicone di sigaretta ancora acceso, vettovaglie di una tavola imbandita attendono l'arrivo di un ospite speciale, un getto d'acqua che scorre in un lavandino sta risciacquando i resti di una serata, e forse il mal di vivere. Sono i frame di vita vissuta che animano le tele di Therese Mulgrew, trentenne pittrice di Chicago alla sua prima mostra italiana negli spazi della galleria Poggiali di Foro Buonaparte. Figlia d'arte (ma anche la nonna, caso raro, era un'artista), Therese è l'ulteriore dimostrazione di quanto la pittura figurativa riesca ad ammaliare con il suo fascino intramontabile anche le nuove generazioni, finanche sfidando con una tecnica quasi iperrealista le seduzioni dell'arte digitale. Tant'è. Poggiali, nella sua instancabile ricerca di nuovi talenti d'oltreoceano (mentre nella galleria madre di Firenze è in corso un'importante antologica del francese Philippe Decrauzat) sfodera un nuovo asso che non poteva non far breccia nel collezionismo della pittura contemporanea. La Mulgrew, pur giovanissima, ha già dalla sua diverse mostre negli States, nella sua Chicago come nella Grande Mela dove per un periodo ha vissuto, operando anche nel campo della moda e del design. La tecnica pittorica indiscutibile e dal taglio fotografico ha una qualità quasi maniacale nell'espressione del dettaglio, degli oggetti quotidiani che appaiono costruiti in un set compositivo classico dello still life.
Nei suoi lavori ad olio su tela è interessante osservare come la natura morta, pur essendo un tema intramontabile dalla pittura barocca ad oggi, conservi la sua forza magnetica come tematica per una narrazione dell'esistenza umana. E, nondimeno, abbia ancora moltissimo da dire. Le composizioni di Therese riescono nell'alchimia di sprigionare un contrasto, quasi un corto circuito, tra il perfezionismo stilistico dai cromatismi accesi (quasi pop) e una metafisica aura di decadenza e nostalgia che pervade la scena; sia quando è popolata unicamente dalla solitudine degli oggetti, sia quando al centro o sullo sfondo fa la sua apparizione la figura umana, anch'essa rigorosamente solitaria.
«Slow burn», questo il titolo dell'intrigante mostra prolungata fino a luglio, «evoca un processo di combustione lenta sottolinea la curatrice Giorgia Aprosio ma anche un paradigma esistenziale, una fiamma che si accende per poi spegnersi gradualmente, inesorabile tensione del desiderio che si propaga nel tempo, la persistenza dell'attesa che modella la nostra percezione dell'intimità».