La nazionale dei misteri e 4 calciatori scomparsi

Se anche la Fifa ha definito la Corea del Nord, «Nazionale del mistero», un motivo dovrà pur esserci. Dal ritiro di Tembisa, township nera una cinquantina di chilometri ad est di Johannesburg ad alto tasso di criminalità, zero titoli (giornalistici), ma anche zero contatti con la stampa. E così la notizia rilanciata da un quotidiano sudcoreano, secondo cui quattro calciatori nordcoreani (An Chol Hyok, Kim Myong Won, Kim Kyong Il e Pak Sung Hyok) avrebbero disertato la partita col Brasile, chiedendo asilo politico alle ambasciate straniere presenti in Sudafrica, non viene né confermata né tantomeno smentita, alimentando in maniera vigorosa la nube di mistero che aleggia sulla nazionale nordcoreana.
Al momento, di ufficiale, ci sono soltanto le parole di Gordon Watson, responsabile delle relazioni con la stampa internazionale della Fifa, che ha provato a smontare il caso attribuendo l’assenza dei quattro a un errore di trascrizione delle liste ufficiali. «Le voci hanno avuto origine da un errore di trascrizione in occasione della partita tra Corea del Nord e Brasile. Ho incontrato la delegazione della Corea del Nord la notte scorsa e sono stato informato che i giocatori erano con il team. La Corea del Nord aveva inizialmente presentato l’elenco completo dei suoi 23 convocati a disposizione, ma nell’imminenza del match con il Brasile lo ha ridotto a 19: non ci sono eventi drammatici e si è trattato di un vero e proprio errore umano».
Tutto chiaro? Non proprio. Perché ieri pomeriggio la nazionale nordcoreana aveva indetto una conferenza stampa chiarificatrice, per poi cancellare tutto consentendo però ai giornalisti di assistere all’allenamento degli uomini di Kim Jong-Hun. Un allenamento surreale, al quale alcuni giocatori partecipano vestendo le maglie «personalizzate» da gioco (mai vista una cosa del genere), in modo che tutti possano contare i giocatori che stanno lavorando in campo: in effetti sono 23 e a un certo punto diventano anche 24. Ma la Corea del Nord è anche la squadra che nella lista dei convocati mondiali ha messo un attaccante fra i tre portieri, sperando che la Fifa non se ne accorgesse: quindi è il caso di chiedersi se quei due ragazzi in tuta che con il pallone sembrano «litigarci» non siano per caso i magazzinieri. Mentre alcune persone di aspetto asiatico, e senza accredito Fifa, filmano tutti coloro che sono sugli spalti, per evitare ulteriori problemi il ct Kim ordina ai suoi ragazzi di esercitarsi in una specie di pallamano e addio allenamento fatto in modo serio. Poi viene ribadito che la conferenza stampa non si fa più e in breve, sui richiesta dei nordcoreani, i poliziotti sudafricani presenti ordinano ai reporter, e soprattutto a chi ha in spalla una telecamera, che bisogna sgomberare gli spalti. L’invito viene fatto con maniere piuttosto spicce, si odono minacce d’arresto e volano spintoni, un agente piuttosto «eccitato» sta per aggredire un operatore di una tv americana, poi ci ripensa e si limita ad una manata. Come se non bastasse, dalla federazione nordcoreana non arriva nessuna conferma ufficiale sull’identità degli atleti che hanno lavorato nel pomeriggio.


Un maniera terzomondista di chiudersi a riccio rispetto al resto del pianeta, basti pensare che la nazionale nordcoreana ha un solo giornalista al seguito; una dittatura dell’informazione tanto cara al Kim Jong-il, al quale la Fifa non può far altro che piegarsi rintanandosi in spiegazioni poco convincenti: «Si è trattato di un equivoco, le squadre non sono obbligate a portare tutti i 23 giocatori alla partita», ha ribadito Pekka Odriozola, portavoce della Fifa. Lunedì la Corea del Nord sfida il Portogallo. E lì non potrà portare in panchina i magazzinieri.

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