Antonelli (Gemelli) ammette: sapevamo dei focolai Covid in Cina prima dell'alert Oms

Antonelli (Gemelli) ammette: sapevamo dei focolai Covid in Cina prima dell'alert Om

Antonelli (Gemelli) ammette: sapevamo dei focolai Covid in Cina prima dell'alert Oms
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Le autorità sanitarie italiane sapevano del Covid in Cina prima dell’alert dell’Oms. È il nuovo inquietante scenario emerso negli scorsi giorni dalla commissione d’inchiesta Covid a seguito dell’audizione di Massimo Antonelli, direttore del Dipartimento di Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione del Policlinico universitario Agostino Gemelli, già componente del Cts.

La senatrice Antonella Zedda, vicepresidente di Fratelli d’Italia al Senato, fa notare ad Antonelli che a pagina 28 del libro "Perché guariremo", la cui pubblicazione fu bloccata pochi giorni prima del suo lancio, Roberto Speranza scrive: «Il 31 dicembre, le autorità (della Cina, ndr) hanno segnalato all'Oms molti casi di una malattia che somiglia alla polmonite, nella provincia di Wuhan». Ma subito Speranza aggiunge: «Era tutto il mese che si rincorrevano le voci su nuovi focolai virali in quella provincia e che consultavo le notizie con più attenzione del solito, vagliando quelle provenienti da Oriente». E ancora, Zedda fa notare all’audito che nella sit di Stefano Merler presso la Procura di Bergamo, vi è un fatto che è passato inosservato apparentemente anche agli stessi magistrati e che viene ripetuto per ben tre volte: “Io e il mio gruppo di ricerca di Fondazione Bruno Kessler avevamo “giá cominciato prima di Natale 2019 a studiare la diffusione del Covid-19 in Cina”; “Io avevo giá iniziato lo studio dell’epidemia già prima di Natale 2019 e già a livello scientifico era in atto un confronto. Indubbiamente posso dire che attorno al 21 gennaio 2020 già sapevamo gli elementi caratterizzanti dell’epidemia che evidenzio poi nel piano del 5 febbraio 2020 tra cui la trasmissione asintomatica, l’elevata trasmissibilitá della malattia”; “Avevo iniziato lo studio dell’epidemia già a dicembre”. La domanda della Zedda, sorge spontanea: come facevano Merler e Speranza a sapere quello che ancora nessuno poteva sapere prima del 31 dicembre 2019, ovvero prima della notifica della Cina all’Oms, che in Cina ci fossero dei focolai epidemici?

“In realtá - dichiara Antonelli - che ci fosse il virus e che stesse diffondendosi in Cina era noto un po’ a tutta la comunità scientifica, però è stato probabilmente sottovalutato”. Non è proprio così. In un articolo apparso sul Daily Mail il 9 marzo 2025, l’ex direttore del Centro di prevenzione malattie infettive degli Stati Uniti, Robert Redfield dichiarava di avere saputo per la prima volta di uno strano virus respiratorio la notte di capodanno tra il 2019 e il 2020. È il giorno in cui, come da timeline dell’Oms “l'Ufficio Oms in Cina è stato informato (dalle autorità sanitarie della provincia di Wuhan, ndr) di casi di polmonite di eziologia sconosciuta rilevati nella città di Wuhan, nella provincia di Hubei, in Cina”. In sintesi, il direttore dell’Ecdc americano (non un funzionario di seconda fascia) non era a conoscenza di nulla prima del 31 dicembre 2019. Speranza era invece stato al corrente di voci che si rincorrevano sull’esistenza di focolai epidemici per tutto il mese di dicembre. Mentre il matematico Merler - non si sa a che titolo - studiava giá il covid prima di Natale del 2019.

É chiaro che qualcosa di terrificante non torna. Nel giugno 2020, l’Associated Press scriveva che “dopo che il coronavirus è stato scoperto per la prima volta in Cina, gli scienziati del Paese si sono affrettati per identificarlo. L'Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicamente elogiato la trasparenza della Cina, ringraziandola per aver immediatamente condiviso la sequenza dei virus con il mondo”. Sarà vero? Sembra proprio di no. Secondo l’articolo 6 della Regolamentazione Sanitaria Internazionale (2005), “ogni Stato Membro deve notificare all'Oms, con il mezzo di comunicazione più efficiente disponibile, tramite il Punto focale nazionale per il Regolamento sanitario internazionale (Rsi), e entro 24 ore dalla valutazione delle informazioni sanitarie pubbliche, tutti gli eventi che possono costituire un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale all'interno del proprio territorio, in conformità con lo strumento decisionale, nonché qualsiasi misura sanitaria adottata in risposta a tali eventi”.

Sia Speranza che Merler fanno riferimento a consapevolezze che risalgono addirittura a settimane prima della notifica della Cina all’Oms. Altro che “entro 24 ore”. Nei giorni scorsi, l’ex numero due Oms Ranieri Guerra ha dichiarato a Il Giornale che “il Covid era in Cina già nell’autunno 2019”. Un’ammissione forse un po’ tardiva ma che getta ombre sul ruolo e sulla trasparenza sia delle autorità cinesi, sia dell’Oms che di quelle italiane.
É forse un caso che nello stesso ritiro del rapporto del team dell’ex ricercatore Oms, Francesco Zambon, entrano in gioco gli stessi protagonisti?

Come anticipato dal Giornale lo scorso agosto entrando in possesso della risposta dell’Oms alla rogatoria internazionale della Procura di Bergamo, l’ordine di ritirare il rapporto pubblicato il 13 maggio 2020 - e che aveva provocato l’irritazione di Guerra, Speranza e alti dirigenti del ministero della Sanità - è arrivato proprio dalla sede Oms di Pechino (circostanza confermata anche dall’Ilo, il Tribunale del lavoro di Ginevra): “Rimuovi immediatamente il documento dal web. Considerala un’emergenza. Questo documento é inaccurato e contraddice la timeline ufficiale dell’Oms in un paio di punti. Il box sulla Cina deve essere immediatamente controllato dalla sede centrale”. Una richiesta a cui lo stesso Zambon aderiva immediatamente mandando una mail interna all’Oms: “L’ufficio Oms Cina ci ha chiesto di rimuovere immediatamente (e temporaneamente) il report per un problema nel testo, per favore dateci conferma di averlo fatto”.

Ma quale era una delle due inesattezze che la sede di Pechino chiedeva di correggere a Zambon?

La risposta si trova nella lunghissima memoria che Ranieri Guerra depositò ai pm di Bergamo nel lontano novembre 2020. La prima scoloritura riguarda il rincorrersi di «voci di sindrome respiratoria acuta», voci che sarebbero circolate prima della notifica all’Oms da parte delle autorità cinesi del 31 dicembre 2019, suggerendo non solo che la Cina avesse tentato di nascondere la presenza sul suo territorio di un virus ad eziologia sconosciuta (non è chiaro per quanto tempo), ma anche che l’Oms ne fosse perfettamente consapevole.

La conferma in commissione Covid arriva da Massimo Antonelli, direttore del Dipartimento di Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione del Policlinico universitario Agostino Gemelli, già componente del Cts: un altro tassello sulle inquietanti circostanze che la commissione d’inchiesta Covid è ora chiamata a chiarire.

La perfetta consapevolezza delle autorità italiane di una minaccia di salute pubblica esistente in Cina prima della sua ufficialità e la concomitante inerzia potrebbero riscrivere l’intera timeline degli eventi e la conseguente catena di responsabilità che la commissione d’inchiesta Covid sta sviscerando, audizione dopo audizione. Perché Speranza ha taciuto agli italiani quel che sapeva? Per quanto tempo lo ha fatto? Ed a chi altri lo ha riferito?

Lo scorso aprile, l’Oms ha rifiutato ogni invito a qualsivoglia audizione in commissione Covid, usando come giustificazione la necessità di dover preservare la propria indipendenza. Ma ora pare che anche per l’Oms sia arrivato l’autunno, dopo le incredibili circostanze che stanno emergendo in commissione Covid.

Sui rapporti Cina-Oms-Italia e sul rapporto del ricercatore di Venezia Francesco Zambon che inguaiava tutti i protagonisti servirebbe un’operazione verità, come da mesi chiedono i parlamentari Fdi in commissione, a partire dal presidente Marco Lisei fino al capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami e alla capogruppo in commissione Alice Buonguerrieri, che negli scorsi giorni ha richiesto a

gran voce che Speranza vada in commissione a riferire. «Antonelli ha confermato la totale impreparazione e sottovalutazione dell’Italia ad affrontare la pandemia», ricorda la Zedda. Non sono esclusi ulteriori colpi di scena.

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