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Chi è Mohamed Shahin, l'imam di Torino liberato dai giudici e cosa aveva detto sul 7 ottobre

Accolto il ricorso presentato dagli avvocati del quarantaseienne. L’uomo era stato definito dalle autorità di polizia “una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”

Chi è Mohamed Shahin, l'imam di Torino liberato dai giudici e cosa aveva detto sul 7 ottobre

"Una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”: così le autorità di polizia hanno definito Mohamed Shahin, l’imam di Torino rilasciato oggi su indicazione della Corte di Appello del capoluogo piemontese. L’uomo, 47 anni di origini egiziane, era rinchiuso dal 24 novembre in un Centro di permanenza per il rimpatrio a Caltanissetta, in Sicilia, in attesa di espulsione. I giudici hanno accolto il ricorso presentato dagli avvocati del religioso che guida la moschea Omar Ibn Al Khattab di via Saluzzo, finito nel mirino del Viminale per le sue posizioni radicali.

Chi è Mohamed Shahin

Mohamed Shahin è un imam di origini egiziane attivo da molti anni a Torino, dove guida la moschea situata nel quartiere di San Salvario. Vive in Italia dal 2004, è sposato, ha due figli ed è impegnato in attività religiose e culturali all’interno della comunità islamica cittadina. La sua figura è uscita dall’ambito locale ed è diventata oggetto di attenzione nazionale tra il 2023 e il 2024, quando alcune sue prese di posizione pubbliche sul conflitto israelo-palestinese hanno dato origine a un articolato contenzioso politico, amministrativo e giudiziario, culminato in un decreto di espulsione per motivi di sicurezza.

Il punto di svolta risale all’indomani dell’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre. Lo scorso 9 ottobre, durante una manifestazione pro Palestina a Torino, Shahin intervenne dal palco con parole interpretate come una giustificazione delle azioni dei terroristi palestinesi. In particolare, l’imam affermò che quanto accaduto non potesse essere isolato dal contesto storico e politico del conflitto. Non pago, rimarcò che la strage firmata da Hamas - circa 1200 morti e 250 rapiti - “non rappresentava una violenza”. A distanza di tempo, rispondendo alle critiche, ha chiarito la propria posizione dichiarando di non stare con Hamas e non solo: “È stato scritto che io giustifico quello che è successo il 7 ottobre, ma la mia risposta è chiara: non posso parlare solamente del 7 ottobre ed è il risultato di un'occupazione di 80 anni, di 11 guerre che sono successe prima di quella data”.

Shahin è nel mirino delle autorità da tempo. La Digos trasmise una segnalazione alla procura di Torino, che aprì un fascicolo per valutare l’eventuale rilevanza penale del discorso. Ma già il 16 ottobre l’autorità giudiziaria dispose l’archiviazione, ritenendo che il comizio non contenesse estremi di reato. Sul piano penale, Shahin risulta infatti denunciato solo per un episodio di blocco stradale avvenuto durante un corteo pro Palestina, senza ulteriori contestazioni legate a terrorismo o apologia di reato.

Parallelamente, però, la vicenda ha seguito un altro percorso sul piano amministrativo. Nel novembre 2023, l’imam aveva già ricevuto un diniego alla richiesta di cittadinanza italiana, motivato dal Ministero dell’Interno con “ragioni di sicurezza dello Stato”. Nel provvedimento, firmato dal Viminale, si faceva riferimento a elementi che non consentivano di escludere potenziali pericoli per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale. Quell’atto è stato successivamente richiamato anche nel decreto di espulsione emesso il 25 novembre, con il quale il ministro dell’Interno Piantedosi ha disposto l’allontanamento di Shahin dal territorio italiano.

Secondo quanto riportato nel decreto ministeriale, Shahin sarebbe considerato dalle autorità di polizia una “minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”. Nel documento si parla di un presunto percorso di radicalizzazione religiosa, di una visione ideologica connotata da posizioni antisemite e di contatti con soggetti ritenuti vicini a un’interpretazione violenta dell’Islam. Il Viminale sostiene inoltre che l’imam potrebbe, anche indirettamente, favorire attività o organizzazioni estremiste. Le parole pronunciate durante il comizio del 9 ottobre vengono citate come uno degli elementi di contesto, ritenute talmente divisive da aver creato disagio anche all’interno di settori moderati del movimento pro Palestina.

Dopo la notifica del decreto di espulsione, Shahin è stato accompagnato in un Centro di permanenza per il rimpatrio, individuato a Caltanissetta. Infine, la novità di oggi con la decisione della Corte di Appello. Il movimento Torino per Gaza si era schierato subito al suo fianco, scagliandosi contro l'ipotesi di un'espulsione in Egitto, Paese non sicuro per l'imam. “Mohamed è stato arrestato dopo due anni di mobilitazioni in cui non ha mai smesso di esporsi pubblicamente contro il genocidio in corso in Palestina” la posizione del gruppo: "Nonostante la sua richiesta di asilo politico, il giudice ha confermato l’espatrio, ignorando ogni evidenza del pericolo reale e documentato che Mohammad correrebbe”. E ancora: "Il suo unico reato è aver gridato insieme a tutti noi la libertà per la Palestina”, tirando in ballo “islamofobia e razzismo”.

Il caso di Mohamed Shahin ha assunto anche una forte valenza politica.

Le forze di centrodestra hanno espresso apprezzamento per l’operato del Viminale, sottolineando la necessità di intervenire con fermezza di fronte a posizioni ritenute ambigue rispetto al terrorismo. Dall’altra parte, esponenti di sinistra, insieme a sindacati e associazioni, hanno chiesto al governo di sospendere l’iter di rimpatrio, presentando un’interpellanza parlamentare per chiarire le basi del provvedimento.

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