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La folle storia dell'operaio: accoltellato dai ladri ma indagano lui

Marco Iannattone racconta il suo calvario a Quarta Repubblica: ferito e sanguinante, spara dei colpi in aria. I ladri sonoirreperibili mentre lui deve pagare gli avvocati

La folle storia dell'operaio: accoltellato dai ladri ma indagano lui
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Cairo, frazione di Cassino. Un operaio rientra a casa per prendere lo zaino prima del turno di notte. È il 25 luglio, poco dopo le 21. Una sera come tante, almeno fino al momento in cui Marco Iannattone apre il portone. Davanti si ritrova quattro uomini incappucciati. “Appena ho aperto, mi hanno messo una corda alla gola. Cercavano di strangolarmi mentre altri mi tenevano le gambe”, racconta a Quarta Repubblica. Ne nasce una colluttazione feroce, in un’abitazione popolare dove in quel momento non c’è nessuno della famiglia: il padre è al lavoro, la madre fuori casa. Lui tenta di divincolarsi. “Sono caduto a terra, ho avuto un mancamento. Mi hanno accoltellato quattro volte sull’addome e una alla spalla. Io cercavo solo di difendermi".

L’aggressione brutale dura pochi minuti. Pochi minuti che, nelle parole del giovane operaio, sembrano “un’eternità”. Ferito e con il sangue che scorre dall’addome, Iannattone riesce ad arrampicarsi sulle scale interne e raggiungere il piano superiore. Lì il padre custodisce legalmente alcune armi da collezione. “Ho preso una pistola. Avevo il porto d’armi. Con le ultime forze ho sparato in aria, otto colpi, per farli scappare". Gli aggressori si dileguano. I vicini, richiamati dal frastuono, accorrono e tamponano le ferite mentre arrivano i carabinieri. All’ospedale diagnosticheranno una lesione al legamento della spalla che ancora oggi non gli permette di rientrare al lavoro. Quattro mesi di malattia, fisioterapia e un’azienda che prova a tutelarlo, ma certo non può tenerlo a casa all’infinito. "Rischio di perdere il lavoro. Non riesco a fare gli sforzi fisici che servono nel mio mestiere".

Ma non è tutto. Perché mentre i responsabili dell’aggressione non sono ancora stati identificati, Iannattone scopre di essere lui stesso indagato. “Sono indagato perché ho sparato. Ero in casa mia, ho sparato in aria, ma sono indagato". Le armi, tutte regolarmente detenute, vengono sequestrate. Il suo porto d’armi, così come quello del padre, sospeso in via precauzionale. Nel frattempo arrivano le spese: avvocati, risonanze, terapie. Tutto a carico della famiglia. Uno degli elementi che emergono nelle prime fasi dell’indagine riguarda il numero dei proiettili recuperati. Iannattone dice di aver sparato otto colpi; sul posto ne sono stati trovati sette. “Non so se questo sia il problema. Ma se avessi colpito qualcuno avrebbero trovato del sangue”.

Intanto, sugli aggressori — che secondo l’operaio avrebbero “accento dell’est” — non ci sono sviluppi concreti, nonostante le impronte trovate in casa. In paese, racconta Matteo, episodi simili non sono rari. Ma mai con questa violenza, salvo un precedente che segna ancora la sua memoria: dodici anni fa, il giovane aveva già subito un’altra aggressione in casa. “Mi accoltellarono al petto, mi colpirono con il calcio della pistola. Quelli furono presi. Ora è successo di nuovo".

Oggi a prevalere è la paura. La paura per il lavoro, per la situazione giudiziaria, per i genitori che lo sostengono economicamente. E per una giustizia che sente lontana. “Se avessi fatto io una rapina, forse era meglio. Ma non mi sento tutelato dallo Stato. Non so cosa sia lo Stato oggi per me".

A chi gli chiede cosa si aspetti, risponde con la semplicità di un cittadino che non riesce più a sentirsi al sicuro: “Non posso fare niente. Ci hanno sequestrato tutto. Aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso".

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