
Il tema del revenge porn è sul tavolo della commissione parlamentare contro i femminicidi. Così come violenza, stupri, bullismo. A farsene promotrice è la senatrice di Fratelli d’Italia Anna Maria Fallucchi.
Avete in serbo qualche proposta per combattere il fenomeno?
«Affronteremo il problema al più presto. Ci vuole un cambiamento culturale, bisogna cominciare a farsi promotori di una cultura del rispetto».
La storia di Arianna, che ha denunciato via social, può essere un buon punto di inizio per cambiare le cose?
«Sì, la storia di Arianna ha fatto scalpore proprio perché la ragazza ha avuto il coraggio di denunciare attraverso i social, ci ha messo la faccia. Solitamente ci si vergogna, si fa passare tutto sotto silenzio. Lei ha cambiato le regole, va sostenuta».
Che conseguenze ci sono state dopo quel video?
«La ragazza si è sentita molto fragile, molto esposta. Arrivava già da un periodo in cui il suo numero di telefono e le sue foto erano state diffuse ovunque. Non si aspettava che il suo video diventasse virale. Attorno però ha una famiglia molto presente e sana. I suoi cercano di alleggerire il peso di questa storia e la seguono molto».
È diventata il simbolo della battaglia contro il reveng porn.
«E in questo ha tutto il nostro incoraggiamento. Ha fatto una mossa forte. Per questo i dati che abbiamo sul fenomeno sono solo parziali. C’è un sottobosco inesplorato e le statistiche di conseguenza sono falsate. Le vittime femminili e minorenni risultano più vulnerabili. Spesso non denunciano per vergogna, per paura di ritorsioni, mancanza di fiducia nell’efficacia della denuncia».
Che appello si sente di fare ai ragazzi vittima di revenge?
«Dico che non si devono vergognare. Devono parlarne, denunciare. Loro sono le vittime, non devono subire senza fare nulla. Anzi, devono raccontare del bullismo di chi li ha presi di mira. Ad Arianna hanno rubato le foto dal telefono, lei non aveva pubblicato nulla sui social. Questo significa che nella cerchia scolastica qualcuno non l’ha rispettata. Ecco, a vergognarsi devono essere i bulli, non le vittime. Penso anche al caso di Paolo di Latina, che si è ucciso all’inizio dell’anno scolastico per le prese in giro continue dei compagni».
Da dove cominciare per estirpare vendette e vessazioni?
«Un buon punto di partenza può essere l’utilizzo dei telefonini e dei social in modo intelligente. Bene il divieto del ministro Valditara: i cellulari non si possono usare in classe.
Ma allo stesso tempo bisognerebbe insegnare ai ragazzi a utilizzarli in modo utile, ad esempio per studiare. La scuola deve insegnare a utilizzare la rete come una risorsa sana, proficua. Non per fare del male, non per diffamare».