Sassaiole e incendi, tira aria di rivolta nei Cpr

A Caltanissetta, i migranti bruciano materassi, salgono sui tetti e assaltano gli agenti

Foto di repertorio
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Materiale incendiato, sassaiola contro le forze dell’ordine, protesta sul tetto. Cambiano i luoghi, ma il metodo è sempre quello: mettere a ferro e a fuoco i Cpr, Centri di permanenza per i rimpatri, in cui i migranti non aventi diritto a restare in Italia sono trattenuti in attesa di essere riportati in patria. L’obiettivo è procrastinare la partenza se non, addirittura, scongiurarla almeno nell’imminenza. Domenica pomeriggio è toccato al Cpr di Pian del Lago, a Caltanissetta, non nuovo alle rivolte. Qui, su una cinquantina di ospiti, una ventina, per lo più tunisini, hanno incendiato i materassi e lanciato dei mattoni divelti dalla struttura contro i poliziotti e i carabinieri intervenuti per sedare gli animi e consentire ai vigili del fuoco di spegnere le fiamme. Non ci sono feriti, ma la rivolta si è protratta per un paio d’ore. I clandestini, che non hanno diritto a restare sul nostro territorio e per questo vanno espulsi – almeno quei pochi per i quali sussistono accordi con i Paesi di origine – hanno chiesto di non essere trattenuti. Pian del Lago, come tutti i centri di permanenza per il rimpatrio, è strutturata in maniera da rendere difficile la fuga. La rivolta si è poi trasformata in protesta quando gli stranieri sono saliti sui tetti. Sono scesi solo dopo l’intervento di funzionari della questura che, con particolare pazienza, sono riusciti a mettere a segno un’opera di mediazione.

«In questa, come in tutte le altre rivolte che spesso e volentieri vengono messe in atto per tentare di scongiurare il rimpatrio, c’è solo da avere paura – dice un poliziotto -. Abbiamo le mani legate, per cui non possiamo reagire più di tanto, ma restare passivi vuole anche dire mettere in conto che stiamo rischiando la pelle. Gli animi dei migranti ogni volta sono esagitati.

Questa gente non solo non vuole rimpatriare, ma non accetta di essere trattenuta nei Cpr. Assistiamo tante volte a risse fra migranti, alla devastazione della struttura, che poi deve essere ristrutturata con dispendio economico. E noi possiamo solo tentare di sedare gli animi».
«La più grossa difficoltà – dice Francesco Coco, segretario nazionale Sap – è che siamo pochi. Mancano 10mila uomini nelle forze dell’ordine, è una carenza patologica, e in province come Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Agrigento, ecc... in cui insistono centri per i migranti, il personale utilizzato per fronteggiare l’immigrazione irregolare lo sottraiamo al controllo del territorio e al contrasto della criminalità organizzata». Le procedure di rimpatrio sono molto più celeri che in passato, e la volontà espressa dal numero uno del Viminale, Matteo Piantedosi, che domani sarà a Lampedusa con la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson, di ridurre a 7 giorni la valutazione delle istanze presentate dai migranti all’atto dello sbarco, preoccupa chi arriva illegalmente. Al ministro si sono rivolti i pescatori dell’isola che vogliono incontrarlo per il problema dell’abbandono in mare delle imbarcazioni dei migranti dopo i soccorsi.

«Causano rischi anche gravi ai pescherecci – dice Totò Martello, presidente del Cogepa (Consorzio di gestione della pesca artigianale) di Lampedusa e Linosa -.
Quando affondano creano danni ambientali e ai pescatori, impigliandosi nelle reti. Una corretta gestione dell’accoglienza deve tenere conto anche di questi aspetti».

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