
Arianna ha 19 anni. Ha subíto revenge porn ma non è una vittima come le altre. Lei ha reagito. Mentre il suo quartiere a Foggia veniva tappezzato di immagini di un corpo nudo con il fotomontaggio del suo volto sopra e il numero di telefono scritto a fianco, lei ha preso il cellulare, ha girato un video di denuncia e lo ha postato sui social.
Una scelta sofferta e coraggiosa che potrebbe aprire una nuova fase: quella in cui le vittime non stanno in silenzio e smettono di vergognarsi. Quella in cui a vergognarsi dovranno essere i bulli che le hanno offese, gli autori del revenge, la «vendetta» appunto. La decisione di pubblicare il video di risposta non è stata né facile né istintiva: è arrivata dopo mesi di paura di essere seguita o contattata da chissà chi. «L’immagine è falsa, ma porta il mio volto e il mio nome» denuncia la ragazza che, benché moralmente e psicologicamente distrutta, è decisa a riprendersi la propria vita e la propria dignità: «Io non ho fatto nulla di male ma sto vivendo un incubo».
Quello che è capitato ad Arianna è successo a chissà quante altre ragazze che hanno preferito subire piuttosto che uscire allo scoperto e ribellarsi. In Italia le vittime di revenge porn sono 1,2 milioni: significa che una persona ogni 50 è stata vittima di questa forma di violenza digitale. Nel 2024 sono stati registrati 2.746 casi, il 44% di ammonimenti in più rispetto all’anno precedente. Tra i giovani under 24, oltre il 7% è vittima (più del doppio della media nazionale del 2,8%), un adolescente su sei ha prodotto contenuti intimi, la metà li ha condivisi. E 9 vittime su 10 sono donne.
PERCHÉ I NUMERI CONTANO
Ogni statistica rappresenta una vita rovinata: reputazione distrutta, trauma psicologico, isolamento sociale. Ogni contenuto può essere condiviso infinite volte, rendendo il danno permanente. Anche la commissione parlamentare contro i Femminicidi si è interessata del caso ed è ben consapevole che il fenomeno del reveng porn sia in aumento e che il rischio, con le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale, sia ancora più feroce.
I fotomontaggi porno sono sempre meno artigianali e sempre più verisimili: è il deepfake porn e anche questo è uno strumento (iper realistico) di vendetta. Lo sanno bene le politiche, le attrici e le vip finite nel mirino dei siti sessisti e protagoniste di finte foto diffuse ovunque.
IL CASO DI LATINA
Le applicazioni per creare video o foto false sono semplicissime da usare. E lo dimostra il caso di Latina: un gruppo di studenti di una scuola media, utilizzando un’applicazione denominata BikiniOff, ha manipolato le fotografie di cinque compagne e di una docente ricreando in modo sorprendentemente realistico pose hot. Il deepnude della docente, nel caso specifico, è risultato così convincente da comparire su due rinomati siti pornografici. La Procura dei Minori di Roma ha avviato un’inchiesta sulle finte foto pornografiche e il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria nei confronti di Telegram.
In generale serve una regolamentazione adeguata in questo settore e soprattutto veloce, che non lasci vuoti normativi: l’IA è in continua evoluzione e il suo sviluppo non aspetterà l’entrata in vigore delle nuove regole.