Trovandomi qualche giorno fa a Trento per lavoro, passeggiando nel centro storico mi sono imbattuto in una manifestazione pro-Palestina che ha attirato l’attenzione di cittadini e curiosi. L’evento si svolgeva sotto la vigilanza delle Forze dell’Ordine, presidio essenziale della nostra Repubblica. Le vie principali, solitamente animate da turisti e famiglie, erano occupate da bandiere e striscioni e scandite da cori.
Accanto alla vivacità della piazza, però, si percepiva anche un altro sentimento: la preoccupazione dei commercianti.
Parlando con alcuni esercenti del centro, il malumore è emerso con chiarezza. "Il locale, di solito pieno ogni sera, oggi è vuoto", ha raccontato un cameriere di un ristorante in una zona centrale. "A quest’ora non si trova mai un tavolo libero. Oggi invece abbiamo perso molto incasso", ha continuato.
Non si tratta, a quanto pare, di un caso isolato: secondo diversi negozianti, le manifestazioni, soprattutto quando non adeguatamente autorizzate, generano rallentamenti, chiusure temporanee e un calo significativo del flusso turistico e locale. "Non sappiamo se avessero i permessi o meno ma di fatto a pagarne le conseguenze siamo noi, e con noi l’economia della città", ha tuonato un altro commerciante.
Tra i partecipanti è spuntato anche un cartello dal contenuto presumibilmente antisemita, che ha suscitato sdegno e preoccupazione tra i presenti. Il messaggio esprimeva un’ostilità inequivocabile verso il popolo israeliano, andando oltre la critica politica. Un episodio grave, che non può essere minimizzato e che riaccende il dibattito sui limiti tra libertà di espressione e incitamento all’odio.
Protestare è un diritto fondamentale. Ma quando la piazza diventa veicolo di ostilità etnica o religiosa, quel diritto viene travalicato. Non è solo una questione di ordine pubblico: è una responsabilità collettiva. Una protesta è davvero democratica solo se poggia sul rispetto reciproco non su parole o gesti che alimentano divisioni.
Durante gli interventi, uno dei relatori ha invocato più volte il concetto di “resistenza”, richiamando la manifestazione americana “No Kings” e parlando di un crescente malcontento negli Stati Uniti. Secondo l’oratore, lo slogan esprimerebbe il rifiuto di qualunque autorità percepita come imposta. Resta però poco chiaro verso chi o verso cosa si rivolga questa “resistenza”: governi specifici? il sistema economico globale? o, in senso più radicale, le istituzioni stesse?
In Italia, il termine “resistenza” è legato alla lotta per la libertà e la democrazia. Sentirlo oggi declinato in chiave antagonista o anti-istituzionale solleva interrogativi legittimi. Dove finisce la protesta e dove inizia la sfida alla legalità?
Il movimento “No Kings”, nato negli Stati Uniti come critica all’accentramento del potere politico ed economico, è stato negli ultimi mesi adottato da gruppi molto diversi fra loro: alcuni con finalità sociali, altri con accenti più estremi. Se davvero questo messaggio è destinato a espandersi, sarà fondamentale capire in che forma: come richiesta di maggior giustizia o come rifiuto delle regole democratiche?
Il punto vero è come conciliare il diritto alla protesta con il rispetto delle norme e della vita cittadina. Le piazze sono un presidio di democrazia, ma anche negozi e ristoranti rappresentano una parte essenziale della comunità e della sua economia.
La vera sfida è trovare un equilibrio: far sì che il dissenso non diventi pretesto per odio o violenza, ma occasione per un confronto civile. In una democrazia, la resistenza non è mai contro lo Stato: è la spinta a renderlo più giusto e umano.
Una cosa deve essere chiara: protestare è un diritto sacrosanto, ma va esercitato nella legalità, nel rispetto di chi lavora e senza arrecare danni alle città. Non è questo il caso della manifestazione di Trento, ma episodi simili in passato (degenerati in scontri, devastazioni e danni ai negozi) mostrano quanto il passo possa essere breve.
Quando la protesta si trasforma in violenza, non è più protesta. Ed è violenza anche esporre cartelli offensivi o discriminatori. Ogni forma di insurrezione contro le istituzioni democratiche va contrastata con fermezza e nel pieno rispetto della legge, senza se e senza ma.