"Vi spiego perché ora vogliono rieducare gli uomini in crisi"

Sempre più Paesi riconoscono i problema dell'uomo in crisi. Per capire di più, abbiamo intervistato Giuliano Guzzo, sociologo e autore di Maschio bianco etero & cattolico. L'uomo colpevole di tutto (Il Timone)

"Vi spiego perché ora vogliono rieducare gli uomini in crisi"

Sembra di rileggere, o di rivedere, decidete voi, la scena di Fight club in cui il protagonista affonda la testa tra le grandi tette di Big Bob. Sono entrambi uomini in crisi: il primo non sa perché è al mondo e, così, passa ore e ore a guardare i mobili minimalisti dell'Ikea; il secondo invece, dopo esser sopravvissuto ad un cancro ai testicoli, si trova sul petto delle appendici tipicamente femminili. Nel romanzo di Chuck Palahniuk, la “tesi” dell'anonimo impiegato incontra, in una visione hegeliana, l'“antitesi” dell'uomo forte e violento in Tyler Durden. La “sintesi”, ovviamente, arriva a suon di botte e mascelle spezzate (ma quale ascesi non passa da un atto violento?) e così il protagonista ritrova finalmente la propria essenza, il proprio io. E pure l'amore di (e per) Marla. L'immagine di Palahniuk ben descrive la crisi maschilei, tant'è che anche diversi Stati, come il Regno Unito, stanno cercando di correre ai ripari in quanto sta diventando una vera e propria emergenza nazionale. Per comprendere meglio ciò che sta accadendo attorno a noi, abbiamo intervistato Giuliano Guzzo, sociologo e autore di Maschio bianco etero & cattolico. L'uomo colpevole di tutto (Il Timone).

I maschi sono in crisi e, nel Regno Unito, si pensa a corsi ad hoc per aiutarli. Che succede agli uomini?

Succede che la fragilità maschile, non solo non negata ma perfino aggravata da una società che colpevolizza il maschio ormai di tutto, come ho scritto del mio libro - dalla violenza di coppia al razzismo, dai crimini del passato coloniale al riscaldamento globale -, sta dilagando a livelli emergenziali. Diventando, così, un problema sociale. Che la crisi del maschio, e in particolare l’eclissi del padre, rappresentassero una criticità sociale è cosa nota ai sociologi da oltre mezzo secolo, ma la politica sembrava distratta. Il fatto che oggi perfino i laburisti inglesi si siano accorti del problema la dice lunga sulla sua gravità. Speriamo che anche in Italia le istituzioni possano seguire questa presa di coscienza.

Quando si è iniziato a colpevolizzare i maschi?

Posto che di base esiste, ancorché spesso minimizzata o ignorata, una vulnerabilità psicologica tutta maschile, per quanto riguarda l’origine della colpevolizzazione dei maschi, sicuramente dobbiamo molto al dilagare, sull’onda lunga del Sessantotto, del femminismo e della visione conflittuale tra i sessi che ha veicolato. La cosa notevole è che sono le stesse attiviste - perfino quelle che si sono spese a difesa delle donne - a confermarci che le cose sono iniziate così. Una testimonianza che cito nel mio libro - Maschio, bianco, etero e cattolico - che ritengo notevole è quella di Erin Pizzey, l’attivista e scrittrice che, nel lontano 1971, aprì il primo rifugio per donne vittime di violenza domestica del Regno Unito; secondo costei, gran parte di questa aggressività verso l’uomo deriva direttamente dall’ideologia femminista. "Il movimento femminista ovunque ha distorto il problema della violenza domestica per i propri fini politici e per riempirsi i portafogli", ha infatti ammesso la Pizzey, condividendo chiare memorie al riguardo: "Osservai le femministe costruire le loro fortezze di odio contro gli uomini, dove insegnavano alle donne che tutti gli uomini erano stupratori e bastardi". Non è forse ancora oggi, questo, una sorta di tormentone?

Però oggi molti parlano di mascolinità tossica per giustificare fatti di cronaca violenti. Non è che, forse, è la mascolinità a mancare?

Assolutamente. A spopolare, più che la mascolinità tossica, è oggi quella evirata. Se infatti da un lato ogni uomo - ma direi ogni essere umano, in realtà - è esposto alla possibilità di agire violenza, dall’altro chi vi ricorre maggiormente è l’uomo debole che può diventare disperato, quello che, non sapendo affrontare un fallimento anche affettivo, distrugge e si autodistrugge. Non è un caso che non pochi uomini che arrivano ad uccidere, poi, si uccidano a loro volta. Il problema non è dunque il maschio patriarca - uno spettro ancestrale -, ma l’uomo peluche, quello immaturo anche se adulto. A proposito, vorrei chiedere ai molti che oggi parlano di mascolinità tossica e della cosiddetta cultura dello stupro perché non hanno mai aperto bocca sulla condizione sovente inflitta alla donna a causa del fondamentalismo islamico o nella filmografia porno - quelli sì, purtroppo, esempio di umiliazione femminile -, ma temo non otterrei risposta.

Cosa possono fare gli uomini peluche per diventare uomini “veri”? Arrivati a questo punto, forse dovremmo anche chiederci: che cosa vuol dire essere uomo?

L’alternativa all’uomo peluche è l’uomo vero, quello profondamente virile - là dove la virilità sta per abnegazione, coraggio, disponibilità al sacrificio in aiuto del prossimo. Da questo punto di vista, la storia contemporanea anche italiana offre parecchie storie di uomini che si sono sacrificati per servire non solo un ideale, ma anche il loro prossimo se non una intera comunità. Da Salvo D'Acquisto a Luigi Calabresi, da Rosario Livatino a Pino Puglisi, abbiamo parecchi casi di “maschi bianchi etero e cattolici” - per dirla con l’espressione ultimamente in voga -, il cui esempio meriterebbe d’essere maggiormente riscoperto e valorizzato. Ma anche senza guardare così lontano, e così in alto, ciascuno di noi, se ci pensa, ha a portata di mano l’esempio di un nonno, di un padre, uno zio, un fratello o almeno di un amico che sono stati - o sono - grandi uomini. E lo sono stati proprio perché hanno vissuto fino in fondo la loro responsabilità, il loro compito, la loro vocazione di padri, di cavalieri e di eroi del quotidiano, senza tirarsi mai indietro.

Se ci guardiamo attorno, però, il panorama è desolante. È possibile uscirne?

Sì, le dirò che sono molto ottimista per il semplice fatto che sono realista. E se da una parte, da sociologo, non posso di certo non registrare il dilagare dell’identità "fluida" e dell’eclissi della virilità e del padre - con tutte le sofferenze che purtroppo ne conseguono -, dall’altra scorgo già in quelle sofferenze, a partire da quelle dei figli delle famiglie disgregate, la nostalgia il ritorno a quei grandi valori oggi apparentemente perduti. Inoltre, va considerato un dato: una società senza padri e senza famiglie è, anche demograficamente, una società non sostenibile. O cambiamo o, almeno come Occidente, siamo spacciati, tertium non datur, e credo che lo spirito di sopravvivenza ci sia ancora. Quando ci riprenderemo dalla sbornia ideologica attuale - da cioè questo aprioristico osannare il femminile dall’altrettanto aprioristico stigmatizzare il maschile, ormai sotto gli occhi di tutti - magari rideremo pure di questo periodo, e sono convinto che il giorno del rinsavimento non sia così lontano. Dopotutto, anche le nuove, insospettabili preoccupazioni dei laburisti da cui siamo partiti, in fondo, sono un piccolo segnale di ripensamento culturale, non trova?.

Questa è la situazione del maschio di oggi. Ma nel titolo del suo libro, ha deciso di aggiungere anche le parole etero, cattolico, e bianco. Come mai?

Perché non tutti i maschi, oggi, sono egualmente sotto accusa. Essere maschi, lo abbiamo detto, comporta già di per sé l’esposizione ad un pregiudizio - quello di essere automaticamente violenti contro le donne -, ma non è il solo: il maschio bianco deve fronteggiare il pregiudizio di essere considerato potenzialmente razzista - come se il razzismo fosse solo unidirezionale, dai bianchi verso gli altri -, il maschio bianco etero viene accusato di essere potenzialmente omotransfobico - come se la violenza anche interna al mondo Lgbt non esistesse, quando invece esiste eccome -, mentre, infine, il maschio bianco etero e cattolico sconta pure il sospetto di essere un oscurantista e intollerante. Insomma, se il maschio è già di suo sotto accusa, il maschio bianco etero e cattolico è invece il colpevole di tutto. E la cosa più triste, aggiungo, è che spesso oggi troviamo proprio gli uomini ad alimentare questi, per così dire, auto pregiudizi; ma finché a veicolarli sono ragazzini o universitari desiderosi di far colpo sulle compagne di corso, onestamente, lascerei correre, ma quando invece si tratta di accademici, politici o perfino ecclesiastici non possono non preoccuparmi. Ricordo che all’ultimo Sinodo dei vescovi padre Timothy Radcliffe, noto ed apprezzato predicatore, ha affermato: "Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali.

Sono anziano - bianco - occidentale - e uomo! Non so che cosa sia peggio!". Chiaro? Essere bianchi, occidentali e maschi adesso sarebbe un “limite personale”. Preferisco non commentare, dato che parole simili già si commentano da sé.

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