
«L’obbligo vaccinale fu un errore, la Lombardia voleva la Zona rossa ma il governo disse di no, il lockdown che ne seguì fu una scelta “politica”». Dalla desecretazione dei verbali degli ex membri della task force e del Cts davanti alla commissione Covid emergono altri pezzi di puzzle che provano a ricomporre le verità nascoste sulla pandemia.
A inguaiare nuovamente l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro della Sanità Roberto Speranza questa volta è Giovanni Rezza, già dirigente di ricerca dell’Istituto superiore di Sanità, che lo scorso aprile ha ricostruito alcuni passaggi che portarono alla mancata tempestiva chiusura della Val Seriana. «Fui io il primo a richiedere la zona rossa in Val Seriana», ricorda Rezza secondo cui non chiuderla fu una scelta politica. Conte si oppose alla Zona rossa perché era costoso farlo, «implica un movimento di forze dell’ordine che devono fare una sorta di cordone sanitario», ricorda lo scienziato. Eppure il 6 marzo 2020, come ha più volte ricostruito il Giornale, 400 militari erano pronti a sigillare l’area. Due giorni dopo ne venne chiesto misteriosamente il ritiro: l’agenzia giornalistica Agi presentò un ricorso al Tar per comprenderne i motivi, ma il Viminale ha opposto il segreto militare. Perché?
Secondo quanto ricostruisce Rezza il 3 marzo Regione Lombardia chiede al Cts di elaborare una valutazione su Alzano e Nembro per sollecitare Palazzo Chigi alla tempestiva chiusura della Valseriana: «[...]Io ero molto spaventato dalla possibilità che il virus potesse muoversi dalla Val Seriana verso Bergamo, perché Alzano e Nembro sono molto vicini a Bergamo - ricorda l’ex membro del Cts - Se l’epidemia prende Bergamo, dopo se ne va a Milano e parte in tutta Italia: questo era il punto fondamentale[...]». E infatti così avvenne.
Alla commissione Covid presieduta dal senatore Fdi Marco Lisei Rezza ricorda quali fossero i parametri per l’istituzione di eventuali Zone rosse: «Insieme a Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler valutiamo il numero di casi, Comune per Comune; quando gli ho chiesto quando secondo lui bisognava chiudere, mi ha risposto: quando ci sono delle catene di trasmissione più lunghe di 20-21 casi, perché bisogna considerare l’incidenza per 10mila abitanti e quelli sono paesi abbastanza piccoli». Anche il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro e il ministro Speranza si sarebbero dichiarati favorevoli alla misura: «Chiaramente chiedo a Brusaferro di portare questa istanza in Cts, che dà un parere favorevole all’adozione delle misure restrittive ad Alzano e Nembro, per due motivi: l’elevato numero di casi, e quindi un’elevata incidenza, soprattutto a Nembro, e una contiguità con Bergamo». Alla fine il parere viene trasmesso, il 4 marzo si l’Iss si dice d’accordo su questa misura restrittiva, il 5 parte la lettera del Cts a Speranza che «a quanto mi risulta - ricorda ancora Rezza - era favorevole e che avrebbe anche firmato il provvedimento restrittivo».
Poi tutto si inceppa: «Tra il 6 e il 7 marzo c’è una riunione del Cts alla presenza del presidente del Consiglio, ma contemporaneamente succede che Province con un numero di casi più alto di dieci per 10mila vengono segnalate anche in Emilia-Romagna, in Veneto e nelle Marche. Allora a quel punto - si legge nei verbali di Rezza desecretati - che succede? C’è un parere favorevole a ulteriori restrizioni, ma a quel punto ci deve essere per forza una decisione politica. Io dico una cosa: noi tecnici siamo sempre stati sentiti, dopodiché le decisioni le prende la politica».
E così fu. Conte non firma il decreto di chiusura della Val Seriana proposto da Lombardia, Cts e Speranza sebbene «i dati potevano sostenerla». Ma c’è dell’altro. «Tra il 5 ed il 6 marzo 2020 andai io in Cts, c’erano Conte e Regione Lombardia, il governo sosteneva che la chiusura potesse essere decisa direttamente dalla Regione», questo per non doversi far carico dello spostamento delle forze dell’ordine: «Credo che il presidente Conte espresse non una contrarietà, ma qualche dubbio, perché la Zona rossa implicava un cordone sanitario». Ma mentre Conte temporeggiava, 440 agenti tra militari e agenti di polizia e carabinieri erano già dispiegati nella Bergamasca, spediti il 5 marzo dal Viminale per sigillare la Val Seriana. L’8 marzo, tre giorni dopo, i militari furono richiamati, nella notte partì la fuga di notizie sull’ordine di chiudere tutta l’Italia, con le stazioni di Milano e dei capoluoghi del Nord presi d’assalto.
Ma quel lockdown aveva basi scientifiche? «Anche rispetto alla decisione di chiudere, di attuare un lockdown, ci interrogavamo sull’efficacia, sull’effetto, sull’evoluzione del virus, se avrebbe continuato a circolare», ricorda Rezza, che sottolinea anche la continua perdita di credibilità del governo e del ministero della Sanità per i troppi stop and go sulle misure: «La cosa peggiore che si possa fare è dare una certezza ed essere smentiti il giorno dopo». Lo stesso discorso vale per l’obbligo vaccinale, che tante compressioni alla libertà individuale ha creato con il meccanismo del green pass. «Io non direi mai che è necessario un obbligo vaccinale; direi che è necessario mantenere alte le coperture vaccinali. Dopodiché, obbligo o non obbligo lo decide la politica, perché la politica pesa il parere tecnico con l’economia e la società, e quindi prende la decisione», conclude Rezza. Lo scopo «nobile» era quello di preservare le terapie intensive e garantire un’immunità di gregge, ma anche quello era un errore che lo stesso Rezza ammette: «Uno degli errori che anch’io ho fatto in passato è stato pensare di raggiungere l’immunità di gregge, non attraverso l’infezione naturale, ma attraverso la vaccinazione. Ho detto che sarebbe arrivata una volta vaccinato il 70 per cento della popolazione», ma non successe. «Bisogna essere disposti a rivedere i possibili errori di prospettiva che ha fatto in buona fede nel passato. Di fatto raggiungemmo la vaccinazione del 70 per cento della popolazione, ma non raggiungemmo l’immunità di gregge», è la triste ammissione dello scienziato in commissione Covid, che almeno ha il coraggio di ammettere di aver sbagliato.
A differenza di una classe politica che ha mascherato scelte politiche scellerate - come aver rinunciato al Piano pandemico del 2006 anziché adeguarlo, come chiedeva pure l’Oms - che potrebbero aver causato la morte di migliaia di persone che si sarebbero potute salvare.
Con l’infame sospetto che certe decisioni, come la mancata chiusura della Val Seriana invocata dal governatore Attilio Fontana, si siano consumate per motivi «politici», come mettere in imbarazzo l’odiato ex alleato leghista che governava la Lombardia e a lui attribuire i propri errori.