’Ndrangheta ad Alta Velocità:

Enrico Lagattolla

Le mani della malavita organizzata sugli appalti per l’Alta Velocità ferroviaria: un rischio più volte evocato, uno scenario verosimile ma finora indimostrato. E che invece viene allo scoperto in tutta la sua concretezza in queste ore, con l’operazione - in larga parte ancora in corso - che la Procura di Milano realizza mandando tre diverse forze di polizia a sequestrare camion, ruspe e attrezzature nelle imprese che lavorano alla tratta Milano-Torino della Tav. Ufficialmente l’accusa è di smaltimento illegale di rifiuti. Ma andando a sequestrare i camion si scopre, inevitabilmente, chi era materialmente a mandare avanti la gigantesca opera di svuotamento dei terreni ad ovest del capoluogo lombardo. Ed è qui che saltano fuori i nomi che collegano direttamente gli appalti ai piani alti delle cosche. E cioè alle famiglie calabresi di Platì da quarant’anni insediate a Milano, regine indiscusse del business del movimento terra.
L’inchiesta è condotta dai pm Paola Pirotta e Frank Di Maio con la Guardia di finanza, la Polizia provinciale e la Forestale e ha di mira tutto quanto, subappalto dopo subappalto, sta accadendo nei cantieri della Torino-Milano. Quattordici aziende, tutte in varia misura coinvolte nei lavori, vengono colpite da avvisi di garanzia e perquisizioni. In testa all’elenco, due nomi che fanno sobbalzare. Uno è quello di Santo Maviglia, classe 1973, da Africo in provincia di Reggio Calabria. Ad Africo il cognome Maviglia è un cognome pesante: Giuseppe Maviglia era il sindaco della cittadina quando nel 2003 il consiglio comunale venne sciolto per infiltrazioni mafiose; un altro ex sindaco, Santoro Maviglia, era stato arrestato nel 1984 per traffico internazionale di droga. Anche il giovane Santo Maviglia nel 1992 è stato arrestato nell’ambito di una mega-operazione contro il narcotraffico. Adesso è titolare di una azienda individuale, la Edilcostruzioni. Africo e Milano sono lontane. Eppure Maviglia ottiene un subappalto dei lavori Tav. E finisce nell’elenco degli avvisi di garanzia.
L’altro nome importante, nell'elenco, salta meno all’occhio: se non altro perché è un bel nome lombardo, Maurizio Luraghi. Ma Luraghi non è un qualunque imprenditore edile. Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Luraghi è il prestanome dei Barbaro e dei Papalia, le famiglie di punta della ’ndrangheta nel milanese. Attraverso Luraghi e la sua azienda, la Ls Strade, i clan hanno continuato - in barba alle indagini - a controllare per anni l’intero mercato del movimento terra a sud di Milano. Mentre dinamite e revolverate intimidavano concorrenti e amministratori pubblici, Luraghi offriva una «faccia pulita» ai boss cui intestare appalti e affari.
Luraghi è stato arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso nel luglio di quest’anno insieme a quattro esponenti dei clan, tra cui il boss Domenico Barbaro detto «l’Australiano».

Ed ora anche i nomi di Luraghi, di sua moglie Giuliana Persegoni e della Ls Strade appaiono nell’elenco delle aziende che, di subappalto in subappalto, portavano nelle casse dei clan il grande affare dell’Alta Velocità.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica