Cronache

"I salotti sono scomparsi e chi ti fa più favori?"

Giornalista, scrittrice ed ex signora Moratti racconta come è cambiata Milano (e l'Italia): "I miei amici si sono eclissati Solo Giulia Maria Crespi riesce a riunire l'invecchiatissima società milanese"

Sapete perché ogni mattina scende allo stesso bar sotto casa (il Beverin, in via Brera)? Perché ordina un cappuccino e se lo vede consegnare fumante con la schiuma che scrive il suo nome: «Lina». Forse ci sarebbe abbastanza schiuma anche per scrivere il cognome, Sotis, che è breve ma contiene un sacco di cose. Figlia del celebre matrimonialista Gino (che annullò, tra le altre, le nozze di Claretta Petacci, di De Chirico, di Rossellini...), giornalista, scrittrice, ex signora Moratti, madre, regina di Milano e narratrice della borghesia milanese, di nuovo donna, di nuovo moglie (oggi è sposata con l'architetto Marco Romano) e adesso infaticabile benefattrice («come tutte le signore di una certa età un po' rimbambite mi sono data alla beneficenza»). Non è un caso se nel 1982 la Sotis scriveva Bon Ton e nel 2012 ha dato alle stampe Libretto di risparmio, ricominciamo da zero . Comunque lei dice che con quel cappuccino inizia meglio la giornata, ma spiega, soprattutto, che così si sente nel suo quartiere.

Ed è così importante sentirsi nel proprio quartiere?

«Ma certo, il quartiere è un paese che ti salva la vita. E fa sempre più fatica a sopravvivere. Ormai sparisce tutto. Se cambi fidanzata, cambi bar. I nuovi luoghi di aggregazione, i punti di riferimento di zona sono diventate le farmacie: c'era uno studio su questo, poco tempo fa».

E cos'altro non esiste più, a Milano?

«Non esiste più Milano. Non quella che c'era almeno, con la sua società costituita in cui era bello dire che si era andati a cena, con la quale era bello progettare cose nuove. Quando sono arrivata da Roma, nel '62, frequentavo solo commendatori, perché mio suocero era un commendatore. Sa, io sono di Roma ma avevo sposato un giovanotto di Milano».

Scusi, intende Moratti?

«Sì, ma Gianmarco oggi è felicemente sposato e quindi non vorrei tirare sempre in ballo il nostro matrimonio. Abbiamo due figli in comune e andiamo molto d'accordo. Fine».

A un certo punto si è invaghita anche del ‘68 però...

«Ne sono ancora invaghita. Il '68 mi ha fatto scoprire un sacco di cose esaltanti. Che una donna poteva lavorare, guadagnare, non limitarsi a fare solo la moglie (cosa che è stata sufficiente a una donna per duemila anni ma improvvisamente non più per la mia generazione, io non ho mai usato il cognome di un maschio comunque), insomma tutte cose molto più divertenti che fare la borghese».

Lei però nasce borghese.

«Assolutamente. Mio padre era un noto avvocato ma è venuto a mancare quando avevo dodici anni, mia madre era morta partorendomi, io ho girato tutti i collegi d'Italia. Comprese le Orsoline che aveva frequentato anche Giulio Andreotti. Ricordo la madre superiora che chiamava me e le mie amiche “signorine bon ton”».

Eccoci. Oggi lo riscriverebbe il Bon Ton o ormai sarebbe inutile, vista la deriva cafona di tutto?

«Quando ho scritto il Bon Ton credevo lo avrebbe comprato solo mio figlio (Angelo, ndr ) che è molto buono con la sua mamma e in generale è un uomo molto generoso. Invece ho avuto una fortuna incredibile. Era il momento giusto. Ne ho fatta anche una seconda edizione Il nuovo Bon Ton . Ma i tempi sono cambiati».

Sono spariti perfino i salotti...

«Sono spariti i radical chic, sono spariti i salotti milanesi, sono spariti i salotti romani, adesso esistono i salotti leccesi. In Puglia i trulli sono ormai milanesi ma resiste ancora la società forte per come l'abbiamo intesa noi qui per anni. Ci sono ancora donne che tengono il punto, che sono il fulcro del centro cittadino, alle quali si possono chiedere informazioni. Oggi a Milano non sai più a chi chiedere un favore».

Prego?

«Ma sì, prima si sapeva sempre a chi rivolgersi per una cosa o per un'altra, perché a fare la società alta di Milano saranno state trecento, quattrocento persone al massimo. Oggi con i vertici di tutto che continuano a cambiare… Forse ci si dovrebbe rivolgere a un giovane. Ma bisognerebbe conoscerlo. Oggi questo “buco giovane” si sente moltissimo».

E chi sono questi giovani?

«Già, chi sono i giovani? Difficile anche stabilirlo in effetti. Visto che oggi una cinquantenne è una bimba appena svezzata che deve far vedere le tette, una sessantenne è una ragazza e una settantenne è uguale a una sessantenne. I “veri” giovani, bisogna inseguirli per il mondo. Se un tempo il problema era: dove mandiamo la bambina, alle Orsoline o alla scuola inglese? Oggi il quesito è Oxford o Stati Uniti? Comunque, per fare due nomi di giovani da tenere d'occhio: Neige De Benedetti, la figlia di Rodolfo, una bravissima fotografa, e Micol Sabbadini, la figlia dei gioiellieri della Milano bene, anche lei fotografa, questa nuova generazione è tutta orientata verso lavori artistici. Nessuno più che voglia fare l'ingegnere».

Ma gli «altri», gli adulti dei salotti bene, dove sono finiti, cosa fanno?

«Be', Bona Borromeo riceve molto meno, Veronesi non esce più, altri sono lì a prolungare all'infinito le loro carriere con sempre più fatica e sempre meno soddisfazione, poi ci sono le seconde case. La Puglia è appunto una colonia meneghina, della Sardegna, che tanto andava di moda ai miei tempi, ormai non so più nulla. So che St Moritz resiste, Silvaplana è ancora un quartiere milanese e ci vanno le terze generazioni».

Ma non potranno essersi eclissati tutti. La sua amica Afef, per esempio?

«Brava. Sparita anche lei. L'unica che riesce a ricomporre l'invecchiatissima società milanese è Giulia Maria Crespi, una volta all'anno con il suo concerto di Natale. Lei ha sempre amato mischiare, quindi riunisce i nomi delle grandi famiglie milanesi e quelli della solida cultura, come Michele Salvati o Francesco Micheli. Ecco, Micheli è un uomo a cui puoi ancora chiedere un favore, e lui si muove. Lui ha reso il Buzzi, il primo ospedale per bambini completamente musicale».

Be' ma quindi adesso cosa si fa?

«Ci si dà al sociale. Lì ho ritrovato una rete sociale, fatta di facce, di sorrisi, di nomi e cognomi, di punti di riferimento. Lì sì è ricreata una società. Pensare agli altri è una forma di egoismo straordinaria: ti fa sentire buona... Io non li capisco tutti questi pensionati eccellenti che si aggirano depressi perché il telefonino non squilla più dal momento che non sono più in grado di fare favori a nessuno. Ma datti da fare! Dovremmo organizzarci come la società Inca. Lo sa che è stata la società più solidale di tutte? Quando qualcuno aveva bisogno, gli altri si muovevano».

Lei si sta muovendo parecchio in effetti. Sarebbe pronta per fare il sindaco di Milano...

«Per carità, lavoro difficilissimo che non farei mai. Da ex sessantottina ritengo che lo Stato mi debba pagare (e infatti percepisco una pensione), ma ritengo anche di dover dare allo Stato qualcosa in cambio. Di dover lavorare. Mai capite le donne che pretendono soldi dagli uomini: se i soldi ti piacciono, guadagnali e se sei attaccata a quelli di tuo marito, allora sopporta. Comunque, occupandomi degli altri io sono felice, ho risolto la mia pensione. Mi sto occupando di varie cose, i quartieri tranquilli (ho anche un sito a riguardo), un progetto per i carcerati di San Vittore, e molto altro. La beneficenza è un dovere e un'allegria. Io vorrei coinvolgere la gente in progetti allegri. Anche il direttore del Corriere della Sera , Ferruccio de Bortoli è stato da poco nominato presidente della Vidas».

Da compagni di banco al Corriere d'informazione a compagni di solidarietà?

«Questo è il futuro».

Tutto molto diverso anche solo dal suo secondo addio al nubilato: era il 1993 e il giorno dopo avrebbe sposato il suo secondo marito, Marco Romano. Un sacco di amiche quel giorno.

«Sì, è stato bello. Letture, musica, bellissimo. C'erano Natalia Aspesi, Inge Feltrinelli, Rosellina Archinto, Stella Pende, Gioia Marchi Falk, Mita De Benedetti, Antonella Camerana, Giorgina Venosta...».

Per tacere degli invitati al matrimonio vero e proprio...

«Sì, bello. Che peccato, oggi sono scomparsi anche gli uomini e si sono portati via l'unica cosa bella della vita di una donna: il corteggiamento. Essere una donna oggi è faticosissimo. Credo che le trentenni e le quarantenni di oggi siano delle eroine».

Addirittura?

«Sì. Perché sono stritolate. Hanno fatto i figli più tardi perché prima hanno dovuto pensare alla carriera e possibilmente anche a divertirsi un po'. Io a ventiquattro anni avevo già svezzato i figli e ho potuto ricominciare.

Queste poverette possono solo aggiungere, sommare. Lavoro, figli, compagni. Che poi... se sono fortunate hanno a casa un uomo straordinario che però può solo osservarle allibito, se invece hanno accanto uno stronzo, va be', è uno stronzo...».

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