Neda, assassinata in diretta ora è il simbolo della rivolta

Neda, in persiano la voce. Di lei soltanto quel nome, un cognome ancora incerto, Soltani, e quei 37 ultimi secondi di vita. Vita perduta, vita fuggita, tra il sangue e lo sguardo stralunato di occhi rivolti al cielo, tra la rabbia di chi la soccorre e l’urlo da fiera ferita del padre che la vede morire. Tutto nell’occhio confuso di un telefonino, nel caotico ondeggiare d’una via diventata palcoscenico di vita e morte, di protesta e tragedia.
Succede sabato pomeriggio in una Teheran campo di battaglia tra le milizie del governo e opposizione disarmata. Dura 37 secondi, ma minaccia di spazzare via 30 anni di regime e rivoluzione. Inizia in un istante, come quel colpo al cuore sparato da chissà dove. In quel primo fotogramma la schiena di Neda, il suo petto ferito sono tra le braccia di papà. È un istante. Lui l’appoggia sull’asfalto di Karengh Street, le si china sopra. Neda non parla, non si muove, non si lamenta. Rotea gli occhi, due orbite nere spalancate, sgranate, due pupille avvitate nel cielo congelate nello stupore di chi insegue una vita già in volo. Una mano le preme il petto, le cerca il cuore, ma dai polmoni sale un soffio tiepido di morte. Prima è un rivolo, poi un fiotto convulso, una macchia vermiglia che dilaga tra labbra e narici, le copre occhi, petto e volto, congela per un attimo i silenzi smarriti di padre e soccorritori. Tra quell’onda di sangue un sussurro per una verità già intuita. Il silenzio dilaga in un coro di rabbia lancinante, nell’ululato disperato d’un padre che invoca chi non le può rispondere. Ma in quei 37 secondi d’orrore e d’agonia consegnati ad un telefonino Neda è già immortale, è già un simbolo, è lo sdegno dell’universo sconfinato d’Internet, YouTube e Twitter. È l’immagine consegnata alla storia della violenza cieca del regime.
È la prima martire del voto rubato, della nazione truffata. «Riposa in pace Neda, il mondo piange nel vedere il tuo ultimo respiro, non sei morta invano, ti ricordiamo», scrive un chitarrista di Nashville, mentre la sequenza rimbalza di casa in casa, si diffonde in un universale refrain d’orrore che indigna il mondo. «Neda addio spero non sia morta invano». «Neda morta con gli occhi aperti, facendo vergognare noi che viviamo con gli occhi chiusi».
Da Internet emerge anche l’addio di una sorella disperata. Una sorella senza nome e senza volto ci racconta di quella fanciulla che «come me sognava un giorno di sciogliere i capelli al vento, di vivere libera, di poter alzare la testa e dire con orgoglio sono iraniana.

Mia sorella – racconta quell’addio familiare affidato allo cyberspazio - è morta per un’ingiustizia senza fine, è morta per la gioia di vivere. Mia amata sorella mi ripeto che hai chiuso gli occhi perché il tempo era venuto, ma quel tuo ultimo sguardo mi brucia l’anima. Spero solo che il sonno ti sia lieve come un dolce sogno».

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