«Negli ospedali milanesi ho rischiato la morte»

Un giornalista del quotidiano tedesco «Faz» in un articolo accusa il Policlinico. La replica: «Il suo nome non risulta»

Sabrina Cottone

Il racconto mette i brividi. «La disorganizzazione al Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore può costare la vita» scrive Tobias Piller sull’edizione domenicale della Frankfurter Allgemeine Zeitung, il quotidiano tedesco di cui è il corrispondente economico. E anche se al pronto soccorso del Policlinico giurano di non conservare traccia di un passaggio di Tobias Piller, il giornalista scrive (in un articolo ripreso e tradotto dall’Agi) di aver rischiato di morire qualche settimana fa dopo essere stato ricoverato per una forte perdita di sangue dal naso. Lì era arrivato a sirene spiegate su un’ambulanza che era andato a prenderlo in un albergo. «La denuncia di Piller merita la dovuta attenzione, conoscendo il suo rispetto per l’Italia» risponde un comunicato ufficiale della Fondazione Policlinico, che spiega come presidenza e direzione generale abbiano avviato le procedure interne per verificare l’operato di chi era di turno.
Piller racconta scene da girone dantesco, inclusa una morte in diretta: «Due, al massimo tre pazienti all’ora riescono a entrare in ambulatorio, ci si accorge troppo tardi che un’anziana signora condotta con l’ambulanza non reagisce ai richiami un’ora dopo l’arrivo. È morta inosservata in una barella sistemata nell’androne d’ingresso». Alla fine, continua, lui ha deciso di farsi curare in patria, preoccupato per l’assenza di «un semplice endoscopio» e allarmato dallo «scenario dell’orrore» «nel cosiddetto laboratorio» per le analisi del sangue, dove «più di una dozzina di pazienti ricoverati d’urgenza giacciono in stato di semincoscienza sulle barelle». La denuncia continua.

«Che la cosa fosse urgente lo ha rivelato la constatazione di una perdita del sangue del 40 per cento» racconta Piller. Al pronto soccorso ricordano un tedesco che aveva chiesto di andare via per essere curato a Ulm. «Ma di Tobias Piller non c’è traccia sui terminali». L’indagine continua.

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