A Torino e Genova, città governate da sindaci di centrosinistra, hanno detto sì. Sotto la Madonnina Cgil, Cisl e Uil hanno bocciato la (stessa) proposta fatta dall’assessore al Commercio Giovanni Terzi. Negozi aperti il primo Maggio? Non se ne parla. Un abisso tra le stesse sigle a qualche centinaio di chilometri. Tanto che l’assessore non può fare a meno di osservare come «ci troviamo di fronte ad un federalismo sindacale. Mi ha sorpreso che a Torino abbiano dato l’ok e qui a Milano no, sinceramente non lo capisco. Evidentemente il Primo maggio è diventata una festa locale». Terzi ha convocato nei giorni scorsi i rappresentanti di categoria per valutare l’ipotesi di una deroga alla chiusura festiva dei negozi in città. Già domani i commercianti potranno lavorare anche se è domenica e per le vie del centro sfilerà il corteo del 25 aprile. L’Unione del commercio attraverso il delegato per il territorio Giorgio Montingelli aveva fatto presente come il permesso sarebbe ancora più importante per i bilanci aziendali il Primo maggio, visto che quest’anno cade di sabato, il giorno di maggiore incasso. La stessa richiesta, riferisce l’assessore, è arrivata in forma scritta anche da «diverse associazioni di via, grandi catene e piccoli negozi». Una domanda che in un momento di crisi economica il Comune non riesce a lasciar cadere nel vuoto nonostante l’ostinazione dei sindacati milanesi. «Ho molte sollecitazioni - ribadisce -, abbiamo grande rispetto istituzionale per le parti sociali, ma anche per quelle parti della città che hanno difficoltà ad andare avanti. Rifletteremo ancora nei prossimi giorni e poi con il sindaco e la giunta decideremo sulla possibilità di una deroga». Già garantita l’apertura dei mercati settimanali scoperti del sabato.
Il segretario generale della Cisl Lombardia, Gigi Petteni, in una lettera aperta indirizzata al presidente della Regione Roberto Formigoni e dell’Anci Attilio Fontana, alle amministrazioni locali e alle imprese commerciali che sostengono l’apertura anche nella Festa del lavoratori ribatte invece che «un sabato in meno di apertura non è un danno economico e non modifica la congiuntura né sul versante dei bilanci aziendali né su quello dei consumi». Un Primo maggio in meno «sarebbe invece una ferita grave alle speranze di chi lavora per accordare i valori e gli interessi».
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