Cultura e Spettacoli

NEI CIELI CELESTINI DI RADIOTRE

Ormai, è passata una settimana dall’ultima puntata del ciclo. Ma la compagnia di Celestini - nel senso di Ascanio, nel senso dell’affabulatore più affabulante in circolazione - ancora ci rimane. Le venti puntate di Bella ciao, il ciclo di Radiotre che ci ha accompagnato per tutto maggio e inizio giugno, rimangono nelle orecchie. Verrebbe quasi da dire negli occhi, se non fosse radio.
Ma, in un certo senso, anche negli occhi. Perché, per chi ha visto almeno una volta Celestini a teatro, è facile socchiudere le palpebre ed immaginarsi di avere davanti questo folletto, questo cantastorie dei giorni nostri, che ti ipnotizza o quasi. Parla, parla, racconta, racconta, affabula, affabula, gioca con le parole, parla con i giochi, finché cadi in una sorta di trance. Ma anche chi non ha mai visto Celestini a teatro, sentendolo in radio, entra in questa sorta di Flauto magico, con Ascanio nei panni di un imbonitore e la sua voce in quelli del suono magico e flautato capace di avvolgere l’ascoltatore. Che rimane nudo, senza possibilità di difesa.
Ecco, questo è Celestini. E, in particolare, questo è Celestini in radio, un fenomeno che avevamo già conosciuto lo scorso anno quando ha proposto le sue Storie di operai e contadini. Ora, non resta che dire cosa è stato Bella ciao: venti puntate per raccontare la guerra fra il ’40 e il ’45 vista con gli occhi degli ultimi, con gli occhi dei bambini, con la voce di chi ha solo la voce per ricordare. Per esempio, quella di Sisto Quaranta, uno dei 947 deportati dopo il rastrellamento del Quadraro, che ha raccontato il suo ritorno a casa. Oppure, la storia del paracadute trovato fortunosamente e trasformato in bianchi abiti per comunioni e matrimoni.
In queste testimonianze, in queste storie da storiografia francese di Braudel o Le Goff, Celestini ci mette anche i suoi di ricordi. E ci mette anche quelli del suo papà, del suo nonno...E ci mette anche il filo rosso che lega tutti gli interventi, raccolti in gran parte in Emilia, a Rubiera, dove Reggio diventa Modena. Un percorso affascinante, mai pesante, che sabato scorso è diventato la diretta radiofonica di Scemo di guerra - Roma, 4 giugno 1944, il racconto di una giornata di fine guerra che papà Celestini ha raccontato ad Ascanio per trent’anni. E che di quelle storie è un po’ il compendio. Uno spettacolo nato per la Biennale di Venezia, che ha girato l’Italia trasformandosi ogni sera in qualcosa di diverso, che in radio è diventato qualcosa di ulteriormente diverso e che, da qualche giorno, è anche in libreria pubblicato da Einaudi.
Ascanio ha un nome che sembrerebbe roba da Virgilio. Ma per trovarne le origini bisogna tornare ulteriormente indietro: all’Iliade e all’Odissea, a un poeta cieco che forse si chiamava Omero o forse no, ma che tramandava di generazione in generazione le storie con cui è cresciuto.

La colonna sonora ideale, come sempre, è una sola: «La storia siamo noi, questo chicco di grano».

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