Nei conventi anche lo spirito va in vacanza

Marcello D’Orta

Anche quest'anno, con la benedizione di mia moglie, andrò a chiudermi in un convento. Ne ho scelto uno così solitario che ci passa davanti solo Messner, alla ricerca dello Yeti (o viceversa).
Confesso che i luoghi di spiritualità mi hanno sempre attirato e chi sa che un giorno non pianti tutto in asso per diventare barnabita o trappista. In realtà c'è stato un tempo in cui questa possibilità mi è stata offerta. Mia madre, infatti, desiderava ardentemente che almeno uno di noi (e ne eravamo sei) vestisse il saio, un po' perché a quell'epoca (anni Cinquanta) diventare prete risolveva il problema occupazionale, un altro po' perché a casa mia si è sempre pregato e digiunato (va bè, il digiuno era forzato).
Così un bel giorno, mio fratello, di soli nove anni, ricevette una singolare notizia: s'era deciso di fare di lui un missionario. Mio fratello non aveva dato, fino a quel momento (e mai più avrebbe dato) segni di propensione al martirio e perciò la risoluzione lo trovò del tutto impreparato. Egli, tra l'altro, aveva una paura matta dell'Africa (dove supponeva andassero tutti i missionari) perché a quel tempo era in auge un politico del Congo di nome Lumumba, il cui solo nome bastava a spaventarlo, perché associato ai cacciatori di teste e ai cannibali. Tuttavia mio fratello si piegò al volere materno e partì per il convento di Santa Maria a Vico (Caserta). Gli bastarono pochi mesi per prendere in odio i preti, colpevoli, a suo dire, di affamare i seminaristi; così un giorno, approfittando di una vacanza a Napoli, puntò i piedi e non ritornò più.
Le speranze allora si appuntarono su mia sorella. Mia sorella non aveva praticato fra le mura domestiche ascesi e contemplazioni tali da far sospettare chi sa quale vocazione religiosa, ma era brutta come la peste, si riteneva che nessuno se la sarebbe presa e perciò anche per lei fu emessa la sentenza: doveva diventare badessa. Il suo noviziato al monastero di San Bartolomeo in Galdo (Benevento) fece registrare il record delle presenze lampo in un seminario. Fu infatti dimessa dopo soli tre giorni, per tentato suoricidio con scasso («scasso» perché stava per rompere la testa alla superiora). L'estremo tentativo fu operato col sottoscritto; a sette anni fui iscritto all'Associazione cattolica rionale, nella speranza che fosse il primo passo verso il sacerdozio, ma più in là del grado di aspirante maggiore non andai. La mia vita ha preso altre strade, ma io sento forte il fascino per certose e abbazie e mi piacerebbe che questa estate almeno una parte dei miei lettori vivesse l'esperienza che ho vissuto varie volte nei conventi che mi hanno ospitato (la scelta è ampissima, e può essere compiuta consultando, per esempio, la Guida ai monasteri d'Italia edita da Piemme, che propone oltre quattrocento luoghi di spiritualità aperti a quanti desiderino una vacanza riflessiva, alla ricerca di sé).

Svegliarsi di prima mattina, quando l'aria frizzante risuona del cinguettio degli uccelli; cantare i salmi nel coro con i frati; passeggiare da soli nel chiostro odoroso (sorta di piccolo Eden, oasi emendata e isolata dal mondo malvagio che la circonda, luogo in cui l'aria, il sole, gli alberi, gli uccelli, perfino l'acqua che zampilla dalle antiche fontane, ritrovano la fresca purezza dei primi giorni del mondo); gustare le genuine vivande imbandite nel refettorio (dopo aver recitato poche preghiere o ascoltato episodi di vita dei santi); essere avvolto da profondi silenzi che parlano di Dio...
Credetemi, questa vacanza dello spirito è molto più economica, ma soprattutto molto più fruttuosa (ve ne accorgerete nella Valle di Giosafatte) di quella alle Seychelles o le Maldive.
mardorta@libero.it

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