I fiumi sembrano tornati in piena, e dentro ci sguazzano estremisti dogni colore e fede. Le piazze filopalestinesi di questi giorni sono un fenomeno che inquieta non solo per la confusione fra islam e politica, slogan e preghiere, piattaforme pacifiste e prediche dodio. Ma anche perché sembrano sancire una nuova saldatura, fra il fanatismo jihadista e la galassia dellestremismo politico, anche di casa nostra. Col paradosso che alla fine, nei cortei che si sono succeduti in questi giorni a Milano, i palestinesi erano solo una piccola minoranza (del resto a vivere in Italia sono solo qualche centinaio).
Chi ha visto da vicino le marce di quegli eserciti di fedeli sa che in gran parte sono egiziani, marocchini, algerini. Si sentono parte di quella grande nazione panaraba, ma allora la rivendicazione della terra palestinese non è più un obiettivo politico concreto, bensì un mito. Non a caso ai comizi politici delle organizzazioni e delle comunità palestinesi la platea dei militanti risponde sempre e in ogni caso con linvocazione ad Allah. Nel capoluogo lombardo i palestinesi sono una estrema minoranza. Gli egiziani sono 30mila, su una comunità musulmana di circa 80mila persone. Moltissimi i marocchini, gli algerini. Nazionalità ampiamente rappresentate ai vertici dei centri islamici. Egiziano, vero nome Al Husseini Alì Erman, è limam del discusso centro di viale Jenner, Abu Imad che in patria fu incarcerato dalle autorità del Cairo allindomani dellassassinio del presidente Anwar El Sadat. Egiziani sono i vertici del centro di via Quaranta, che avevano messo in piedi una scuola araba, poi chiusa e trasferita. Libico è larchitetto che dirige viale Jenner, Abdel Hamid Shaari. Algerino è limam di via Padova, Abdullah Tchina. Lossatura di quel servizio dordine che sabato ha controllato in modo rigido la sfilata per impedire una nuova invasione del Duomo.
Ma soprattutto, in quel fiume di gente cera, insieme a qualche «pesciolino rosso» (studenti), anche qualche vecchio «pescecane». Bastava dare unocchiata al corteo milanese di sabato per notare unaltra inquietante alleanza: quella fra i giovani che inneggiano allIntifada e i (meno giovani) militanti di quellarea che ha civettato con tutti gli estremismi in nome del nemico comune: gli Usa, Israele, le democrazie occidentali. Dietro i centri islamici, dietro i filopalestinesi, dopo i «cani sciolti» esaltati dai vessilli di Hamas e degli hezbollah libanesi sfilavano le sigle della sinistra antagonista. Non solo qualche sessantottino ormai sfiatato. Non solo le radical chic che sfoggiavano la kefiah impreziosita dagli strass. Non solo Sinistra critica e il Partito comunista dei lavoratori. Ma una miriade di sigle: Partito marxista leninista, Socialismo rivoluzionario, Proletari comunisti, Per il blocco popolare-Lista comunista, anarchici, e con loro anche i Carc, i Comitati di appoggio alla resistenza comunista, che distribuivano i loro volantini: «Che la Striscia di Gaza sia una nuova Stalingrado». I Carc sono nati nel 92. Una sorta di discarica ideologica in cui è finito tutto il vecchio ciarpame degli anni Settanta. Arrestati, inquisiti, perquisiti, nelle loro case è stato trovato del materiale che gli inquirenti giudicarono decisivo per capire i legami fra gruppi di autonomi e nuove Br. E con le Br hanno solidarizzato: «Nostri compagni». «Solidarietà con i compagni arrestati e inquisiti» lhanno manifestata due anni fa, anche gli esponenti del centro sociale «Vittoria», anchessi in piazza sabato a Milano.
Contiguità allarmanti. Come lassalto compiuto a Mestre contro la sede della compagnia marittima israeliana «Zim Line», presa di mira dal blitz di cinque incappucciati. Gli inquirenti puntano su ambienti diversi, compresa larea dei Disobbedienti e dei centri sociali, storicamente caldissimi nel Veneto.
Ma non è solo estremismo rosso.
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