Nel ’68 l’aveva presentato così: «Inutile parlarne, non capireste»

Nostro inviato a Venezia

«Arrestatemi» disse Carmelo Bene al piantone del commissariato del Lido di Venezia, il giorno dopo non essere stato premiato con il Leone d'oro per Nostra Signora dei Turchi, ma solo con quello d'argento. «Cosa avete fatto?» gli chiese il poliziotto sbalordito. «Ancora niente, ma voglio uccidere il ministro del Turismo e dello Spettacolo». A trent'anni Carmelo Bene era già Carmelo Bene, e aveva ragione il direttore della Mostra Luigi Chiarini quando, rispondendo ai contestatori che giudicavano la mostra reazionaria, aveva replicato che Nostra Signora dei Turchi bastava e avanzava per fare la rivoluzione. Ripresentato ieri nella sezione «Questi fantasmi» in una versione che lo recupera integralmente, il film è un diluvio di immagini e di trovate, affascinante, incomprensibile e a volte noioso, trionfo visivo e avanspettacolo, con la celebre phoné del suo autore a fare i primi passi. Nei cinema fu un disastro: presentato in una sala di Torino, più di una volta finì con le poltrone divelte e tirate contro lo schermo e il regista che alla cassa dava indietro i soldi dicendo: «Lei è un cretino». Raccontarne la trama non avrebbe senso, anche perché non c’è, cedere la parola allo stesso Bene aiuta, forse, a capire meglio: «Sono un anarchico, non rispetto nessuna specie di conformismo.

Come tragica farsa della vita interiore (o solitudine) di un personaggio-situazione, o meglio di una situazione che si fa personaggio, questo mio film è un'opera di auto-contestazione. Quanto alla storia, favola o storiella, è tutto quello che vi piacerà. Di Nostra Signora dei Turchi è inutile che vi parli: non capirebbe niente nessuno».

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