Nel cuore della City c’è un uomo che vive in un metro quadrato

A Milano esiste una piazza molto strana, inquietante. È Piazza Affari, esattamente nel centro della città.
Incastrata fra il neoclassicismo littorio e il razionalismo futurista, la piazza è squadrata sul davanti dal monumentale Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, ai due lati da severi edifici in stile Piacentini, in fondo da un altro palazzo nobile, anticipato da un ampio portico in marmo travertino. Sotto il quale vive un personaggio molto strano, inquietante. L’uomo che vive in un metro quadrato. Mangia, dorme, pensa, osserva la gente. Senza mai sconfinare dal quadrotto di pavimentazione all’interno del quale ha fissato la propria dimora. Un’occupazione discreta di suolo pubblico, addossato alla parete di marmo bianco, tra la prima e la seconda vetrata del Banco di Desio, in piedi sull’ombelico architettonico della Milano fascista, fuori dal resto del mondo.
Li chiamano barboni, homeless, senza-tetto, clochard.
Lo chiamano Giorgio, con la “S” puntata, il cognome non è importante, lui sì invece, lo era eccome: fotografo del demi-monde milanese degli anni Sessanta e Settanta, un cacciatore di divi, di quelli che immortalavano Pippo Baudo, i cantanti, le attrici, le starlette che uscivano dalla Rai di corso Sempione, gli scrittori e gli artisti bohémien del Bar Giamaica. Lavorava per una prestigiosa agenzia pubblicitaria con sede, fino all’82, al quinto piano del palazzo autoritario e nobile davanti al quale, silenzioso e immobile, Giorgio “S” continua a vivere.
Quando ha smesso di lavorare dicono se ne sia andato per qualche anno a Chiavenna, in Valtellina, poi è tornato a Milano, a casa sua. Proprio qui, in Piazza Affari, a qualche metro di distanza dalla casa di ringhiera dove è nato, nel ’42, in una di quelle che una volta si chiamavano «le cinque vie».
In qualsiasi città d’Italia e del mondo i senza-tetto crescono di anno in anno: a Milano se ne contano ormai circa 4mila, di cui 400 sopravvivono in strada, gli altri in baracche, roulotte e dormitori. Quattro su cinque, in media, sono finiti in strada dopo aver perso il lavoro. Uno, invece, secondo le statistiche, sceglie di vivere in strada.
Giorgio “S” ha scelto di vivere in strada parecchio tempo fa, ma è dall’inizio dell’estate, a giugno, che ha deciso di vivere qui, in un metro quadrato di Piazza Affari. Da giugno, nonostante l’afa, veste nello stesso identico modo: tuta da sci blu scuro, cappello di piumino in tinta ben calcato sulle orecchie, un paio di Crocs arancioni.
Una persona immobile e silenziosa nel cuore frenetico e chiassoso della City, un simbolo umano dell’inerzia in abiti da tempo-libero che fronteggia impassibile le sculture allegoriche del lavoro intagliate sulla facciata della Borsa. A suo modo un personaggio metafisico, dechirichiano.
Sapessi come è strana Milano a Mezzanotte. Davanti a Palazzo Mezzanotte, sotto lo stesso portico dove abita l’uomo che vive in un metro quadrato, in particolari sere della settimana, preferibilmente nel weekend, ma senza alcuna programmazione e annunciate da un giro di sms tra i partecipanti, si organizzano sessioni illegali di tango: due casse portatili collegate a un Ipod, un lunghissimo pavimento lucido di marmo a disposizione, ampi spazi liberi, nessuna casa abitata intorno - se non quella dell’uomo che vive in un metro quadrato -, una piazza-parcheggio tutta vuota, il silenzio del Tempio della Finanza, ormai deserto a quell’ora, a far da sottofondo alle note della milonga. I tangueros non sono ballerini professionisti, ma coppie e gruppi di amici, tutti dilettanti. Discreti e surreali. Quando arrivano, poco prima di mezzanotte, l’uomo che vive in un metro quadrato srotola il suo sacco a pelo - durante il giorno ordinatamente chiuso dentro la sua sacca verde militare - e si mette a dormire. Loro gli danzano intorno.
Poi, quando si sveglia, caffè e una pasta frolla da “Marchesi”, lì vicino, la miglior pasticceria di Milano. E, un giorno sì e un giorno no, puntuale alle ore nove, spesa alla Standa di via Torino: la cassiera dice che compra sempre due michette di pane, un pacco di cracker, frutta, verdura. E un tubetto di maionese, per la quale sembra avere un debole. Poi, il resto della giornata, torna a rinchiudersi nel suo metro quadrato. Ogni tanto percorre tutto il portico e sbuca al “Bar Affari”, del cui bagno usufruisce discretamente. Sempre senza rivolgere la parola ad alcuno.
Le uniche volte che Giorgio rivolge al parola a qualcuno è per inveire contro le due sole categorie di persone di cui non si fida: i tassisti e le donne - cosa che peraltro depone a favore del suo perfetto equilibrio mentale. E per il resto: silenzio.
Misogino, scapolo, senza parenti, una buona pensione che gli permette di pagare tutto ciò che mangia senza chiedere elemosine, barba candida e curata, Giorgio “S” è un clochard anomalo in una metropoli anomala, che spesso sembra anche anonima, ma a volte, in alcune sere d’estate in cui la milonga echeggia tra i blocchi candidi di travertino di Piazza Affari, sembra assomigliare, più di qualsiasi altra città europea, addirittura a New York.

Ovviamente con una specificità tutta lombarda, onesta, operosa, discreta, come la buona borghesia milanese alla quale Giorgio “S” - iniziale di un cognome che tradisce le lontane origini insubri - è appartenuto. Almeno fino a quando ha scelto di smettere di vivere con gli altri e ha preferito rimanere fermo a guardarli. Nel suo metro quadrato.

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