Eleonora Barbieri
Un disegno, un foglietto da sbirciare soltanto dopo la gara. Un podio, la scritta «papà» sulla tuta azzurra, quella dell'uomo sul gradino più alto, Fulvio Valbusa, oro olimpico per la staffetta: un sogno che si è realizzato sulle nevi di Pragelato ma che la piccola Alice, primogenita del campione veronese, aveva pronosticato con quell'immagine colorata e densa, apparsa sulla pagina della Gazzetta dello sport dopo la vittoria del papà. Anche lanno scorso, per i mondiali, Alice aveva preparato un disegno, dove il papà però era secondo, dietro all'amico Pietro Piller Cottrer: aveva già intuito quell'argento. Evi Crotti, psicopedagogista ed esperta di grafologia, studia disegni dei bambini.
Perché un disegno ha un valore così forte?
«È una favola che diventa realtà, il desiderio così potente da realizzarsi. Questa bambina di dieci anni ha lanciato un messaggio al mondo intero: un esempio di amore e di comunicazione, che l'ha stimolata a partecipare a un momento cruciale per il papà».
Che cosa ci racconta quest'immagine?
«Il papà ha vissuto la gara in comunione con la figlia: e le gare della vita possono essere molte, positive o negative. La figura lunga e il colore rosso indicano la voglia della bimba di crescere, di mordere la vita; mentre la testa del padre, in evidenza, ci dice dell'intelligenza della ragazzina».
Valbusa ha aspettato ad aprire il biglietto...
«La complicità non è soltanto il classico innamoramento freudiano padre-figlia, esprime tutto il valore che il genitore attribuisce a quello che è un semplice disegno».
Che cosa ci dice in più rispetto alla parola?
«È il linguaggio dell'inconscio, un segreto che si mostra e lo fa attraverso la matita perché non può essere detto altrimenti: il desiderio, anche inaccettabile, le emozioni, il disagio nascosto trovano espressione, al 70%, in modo non verbale».
Lei ha scritto un libro: «Non sono scarabocchi».
«Lo scarabocchio è unespressione primordiale, il disegno è un linguaggio universale; entrambi sono fondamentali per sollecitare la fantasia e lo sviluppo perché suscitano passione, quella che manca a molti piccoli di oggi e che, spesso, è trasmessa proprio dal padre. I bambini del Ruanda sono gli unici a disegnare la casa come una tenda. E il volto umano, come in un incubo è tratteggiato solo a metà, mangiato, sfigurato dalla violenza vissuta».
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