Nel Golfo del Messico

A più di un mese (e tre tentativi falliti) dal disastro della Deepwater Horizon c’è ancora grande incertezza su quando finirà la fuoriuscita di petrolio che sta causando il più grande disastro ecologico della storia Usa. Con i pochi dati messi a disposizione dalla Bp è impossibile stabilire quanto greggio ci sia ancora nel giacimento, e anche la «soluzione finale» prospettata, un nuovo pozzo «di riserva», non dà garanzie di successo, mentre in caso lo sversamento duri ancora molti mesi le conseguenze potrebbero uscire dal Golfo del Messico sotto forma di bolle di petrolio. Durante l’attuazione del piano, la fuoriuscita del greggio potrebbe aumentare del 20%, a causa del taglio del braccio mobile del pozzo. A confortare lo scetticismo c’è il precedente della piattaforma Ixtoc 1, protagonista di un incidente simile nel 1979, in cui la fuoriuscita di petrolio continuò per tre mesi, durante i quali venivano pompati cemento e acqua salata, dopo la perforazione del pozzo «di riserva». In totale in quel caso finirono nel Golfo del Messico tra le 454.000 e le 480.000 tonnellate di greggio. «Non si può sapere quanto durerà ancora la perdita, almeno sulla base dei dati resi noti finora - continua l’esperto - bisognerebbe sapere quanto grande è il giacimento, e qual è l’andamento della pressione della perdita. Sono tutti dati che probabilmente ha la Bp, ma non sono stati messi a disposizione del pubblico». Tra le specie messe a rischio dalla marea nera seguita allo scoppio della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico c’è il pellicano bruno. Questo volatile marino, simbolo della Louisiana già colpito dall’uragano Katrina, è uscito dalle specie in via di estinzione solo lo scorso anno, ma rischia di rientrarci subito a seguito della catastrofe ambientale che sta avvelenando le coste dove in questo periodo dell’anno va a nidificare e che, secondo alcuni rapporti, ne ha già uccisi centinaia di esemplari adulti.
Proprio il pellicano bruno fu al centro di un «legal-thriller» scritto da John Grisham nel 1992: «The Pelican Brief», tradotto in italiano con il titolo «Il rapporto pelican». Nel libro, da cui fu tratto anche un film di successo con Julia Roberts e Denzel Washington, si dipana la vicenda di due giudici uccisi in circostanze molto diverse. Una studentessa in legge arriva a intuire che quegli omicidi sono stati fatti su commissione di un tycoon del petrolio, Victor Mattiece, che vedeva nei giudici un ostacolo a trivellare nelle paludi della Louisiana, il principale habitat riproduttivo di una particolare specie di pellicano: il pellicano bruno. E intanto il Golfo del Messico si prepara a scenari apocalittici. Lo ha preannunciato la stessa Bp anticipando che, malgrado il nuovo tentativo in corso, ci potrebbero volere «almeno altre otto settimane» per bloccare la perdita. La «soluzione migliore» resta quella di trivellare un «pozzo parallelo» per intercettare il flusso di greggio, ha spiegato il portavoce del gigante petrolifero britannico, John Currie, e per questo «ci vorrà fino ad agosto». La «Marea nera» è entrata di diritto nella lista, stilata dal sito Mother Nature Network, tra le catastrofi ambientali causata da cambiamenti climatici ed errori umani. Ora che anche l’ultima manovra per fermare la marea nera è fallita, l’affondamento nel Golfo del Messico della Deepwater Horizon si sta delineando sempre più come il più grande disastro ambientale della storia americana: le drammatiche conseguenze per gli ecosistemi sono sotto gli occhi di tutti, tanto che il responsabile per l’ambiente americano, Carol Browner, l’ha definita come «la peggior catastrofe ecologica» del Paese.

Sulla lista del sito ambientalista appaiono altri sei tragici eventi che hanno mutato, o stanno tuttora agendo, per sempre sulla «fisionomia» di un luogo: partendo dall’uragano Katrina, per passare poi agli effetti che l’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl. Un posto nella top seven se lo aggiudica anche l’alluvione di Bhola in Bangladesh che sfollò oltre mezzo milione di persone.

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