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"Nel mio ufficio croce e Papa. E via la foto di Napolitano"

Il sindaco di Verona Flavio Tosi contro la decisione della Corte europea di togliere i simboli religiosi dai luoghi pubblici: "Ho appeso anche un ritratto di Ratzinger"

Nel suo ufficio nel municipio di Verona, il sindaco leghista Flavio Tosi non ha la foto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’ha staccata e al suo posto ha messo l’immagine di Papa Benedetto XVI.
Perché Sindaco?
«Preciso. Ho messo il Papa e sopra il Papa il crocefisso perché questi sono i simboli dei valori in cui profondamente credo. La fede cattolica e la croce mi accompagnano nelle scelte fin dall’infanzia, non vedo il motivo per cui non dovrei assorbirne il beneficio proprio nel luogo in cui lavoro».
Ma la Lega non ha un’anima pagana?
«Cose che si dicono. La Lega è della famiglia cattolica. Il 90% dei cittadini italiani è cresciuto culturalmente e con fede tra le braccia del cattolicesimo. Questa è l’identità del nostro popolo, queste sono le radici a cui tutti, in privato soprattutto, facciamo riferimento».
Allora, adesione piena a un referendum per salvare il crocefisso?
«Piena. Ma vorrei andare più a fondo. Credo che al di là di assurde decisioni istituzionali, nessuno di noi oserebbe mai staccare il crocefisso dalla casa dove vive. Sentiremmo un vuoto, fuori e dentro».
Un giudizio verso la Corte europea che ha decretato la discesa della croce.
«Con tutti i problemi che ci sono oggi in Europa e nel mondo, trovo inconcepibile che la Corte perda del tempo per vanificare un simbolo, che senza dubbio in Italia è il simbolo nazionale più importante. La Corte non avrebbe mai dovuto prendere una decisione del genere».
Verona raccoglierà le firme?
«Lo faremo ma per un principio esclusivamente dimostrativo. Sono convinto che queste sparate antistoriche ottengano esattamente l’effetto opposto, rafforzino cioè il senso di appartenenza alla famiglia che Gesù ha fondato. Proprio in queste ore, girando tra la mia gente, sento rinascere un senso di orgoglio di essere una chiesa, che mi verrebbe quasi da dire: ben vengano gli inconcepibili veti presi in alto da chi non ascolta l’anima degli uomini, lo spirito di un popolo».
È vero che lei ha un dialogo frequente con il vescovo della sua città?
«Il vescovo Zenti è una persona eccezionale. Dopo le mie infernali giornate passate tra problemi e discussioni, a volte sento proprio il bisogno di raccogliermi in quella pace teologica che il vescovo sa darmi».
Un suo concittadino del passato, il ministro Guido Gonnella, pronunciò durante l’Assemblea costituente il Discorso delle libertà, in cui proponeva di iniziare ogni riunione facendosi il segno della croce. Lo farebbe in Consiglio o in Parlamento?
«Il segno della croce è un fatto intimo, ma se servisse a ricordarci una volta di più le nostre origini, non c’è luogo in cui sarebbe sbagliato farlo».
Gesù e Cesare, fede e politica: il Vangelo dimostra che non c’è nulla di più contraddittorio. Come risolvere questo conflitto di interessi?
«Se i politici riuscissero a mettere in pratica almeno la millesima parte degli insegnamenti di Cristo, sarebbero bravi cristiani e ottimi amministratori. La vera politica si fa per servizio a una fede e per fede verso uno spirito di servizio che pretende un sacrificio. Se noi non credessimo in almeno uno dei valori che Gesù ci ha insegnato, non riusciremmo ad andare avanti».
Confessi uno di questi valori.
«La generosità. La disposizione d’offrire tutto il nostro tempo agli altri. Gesù è giunto fino al sacrificio totale di se stesso. Ma Lui era perfetto. La politica, il mondo, l’uomo sono imperfetti. Per questo dobbiamo tenerci vicino la croce: per tentare di migliorare».
Prega?
«È un fatto intimo e privato. Frequento la messa in pubblico, perché l’esempio è l’inizio della fede.

In solitudine mi rivolgo a Dio ed è una bella solitudine».

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