Nel «Re pastore» i sapori ingenui del Mozart d’antan

da La Coruña

Finiva il mondo alle colonne d'Ercole, e a La Coruña domina tuttora il faro bimillenario; davanti a quelle onde d'oceano senti il brivido d'un infinito da rispettare. Alle spalle, urbanisticamente raffazzonata, la città, che ha il merito d'avere generato un Festival Mozart, dedicato a chi fece coincidere eternità misteriosa e quotidianità. Festival che si è aperto con un'opera composta da ragazzo, Il Re pastore.
È una favola arcadica: il pastore Aminta non è un pastore, ma il figlio d'un re, cresciuto fra le pecore con la pastorella Elisa, presto fidanzatina e grande amore: e quando Alessandro Magno gli assegna un regno e una fidanzata ufficiale, rifiuta manto e scettro per amore; il che piace a quel saggio Imperatore che gli dà il regno e la sposa che ama. La difficoltà per eseguirla è che l'interprete si domanda: chi ci crede, oggi? E ha un alibi culturale per dar corpo ai suoi vizii consueti: caratteri accennati, emozioni disciplinate in una specie di stile nobile, pallido e noioso come si usa spesso ai giorni nostri, pochi colori, recitazione terminata al primo accenno di personalità. E un po’ così si sono accomodati Kenneth Tarver dal bel timbro, Marisa Martins che ha qualche momento intenso, e il volonteroso Filippo Adami. Gemma Bertagnolli alla domanda su chi ci crede deve avere risposto: «Mozart», e affidandosi a lui, nella bellezza svariatissima del canto, ha costruito un'Elisa come sogno estremo di sperduta fiducia nella natura, facendoci capire più di un saggio critico la qualità del mito pastorale del Settecento. Mentre Alessandra Marianelli è un segno delle speranze e dei pericoli dei giovani cantanti d'oggi, bella, registro medio nitidissimo ed acuti calibrati, ben piazzata in operosa agenzia di cantanti, ha ora e solo ora tra le mani il suo destino: la scelta se studiare dando nello studio e nelle prove tutto, o se planare nel successo che non fa delirare.
E assai si sono accontentati il direttore Jonathan Webb, il regista Eduardo Vasco, lo scenografo José Hernandez; Lorenzo Caprile, prestigioso sarto della Regina di Spagna, chiamato come costumista, ha regalato imparzialmente, in un Settecento bene adornato, la magnificente grazia della sua fantasia. Mai esser troppo pessimisti.

Il giorno dopo, a Santiago, pur in forma di concerto, tutta l'opera aveva un fascino più caldo e ricco: una specie di incantamento univa le diverse presenze e prestazioni. Mozart aveva cominciato a lavorare dentro gli interpreti; e anche gli applausi, sempre intensi, avevano preso un diverso calore.

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