Nel risiko del governo tecnico persino Bassanini e Veronesi

RomaMinistri uscenti con il coltello tra i denti alla ricerca di una riconferma, politici che sbianchettano il curriculum e cercano di accreditarsi come tecnici, personalità illustri e meno illustri che cercano udienza dalle parti del Colle. Le consultazioni per il nuovo governo non sono ancora iniziate, la candidatura Monti non ha ancora acquisito il crisma dell’ufficialità ma l’unica certezza in questa fase è che il totonomine è già impazzito. Altro che spread: le quotazioni salgono e scendono vorticosamente e la domanda più gettonata diventa: c’è posto per me? Un quesito che al momento resta appeso alla fitta nebbia che ancora avvolge una trattativa che fatica a decollare a causa dei dubbi che albergano soprattutto nel Pdl ma anche nel Pd.
Di certo nel partito di Via dell’Umiltà cresce il desiderio di avere voce in capitolo sulla formazione dell’esecutivo e scrollarsi di dosso la pressione che vorrebbe costringerlo a farsi teleguidare e ad accettare una lista blindata. Il primo punto da chiarire, a questo punto, è il carattere dell’esecutivo che dovrà nascere. L’indicazione che avrebbe dato Mario Monti riguarda l’intenzione di lavorare su una squadra snella con non più di 60 membri tra ministri e sottosegretari. C’è chi spinge affinché il nuovo governo sia composto esclusivamente da tecnici, anche per non far scattare l’ondata di ritorno del malumore degli esclusi. E chi ritiene che non si possa dare una rappresentazione plastica del commissariamento della politica dando spazio al trionfo della tecnocrazia, con una sfilata di uomini provenienti dal mondo della finanza, ovvero dal settore che ha provocato la crisi.
In questo rebus difficile da decifrare, i nomi in corsa per l’eventuale governo Monti continuano a filtrare, pur nella prudenza che questa come ogni fase di totonomine impone. Il ballon d’essai e l’autocandidatura, infatti, in questi frangenti è sempre dietro l’angolo e come ricorda Ignazio La Russa «esiste il rischio che chi entra Papa, ne esca cardinale». In ogni caso, qualora si decidesse di perseguire la via politica la «quota Berlusconi» potrebbe comprendere Raffaele Fitto agli Affari Regionali, Franco Frattini agli Esteri, Gianni Letta sottosegretario alla presidenza del Consiglio e Anna Maria Bernini alle Politiche europee. I nomi cari al Pd sarebbero quelli di Enrico Letta, anche lui come sottosegretario alla Presidenza o ai Beni culturali, Marco Minniti per il Viminale, casella per cui è in corsa anche Giuliano Amato, Livia Turco alla Sanità e, forse, Ermete Realacci all’Ambiente. Resiste, sia pure con quotazioni calanti, una ipotesi Emma Bonino alle Politiche europee.
Se, invece, si decidesse di perseguire l’ipotesi «tecnica» o quella mista, politico-tecnica, la griglia dei nomi si allargherebbe molto. Per la Giustizia, ad esempio, sono in corsa Francesco Nitto Palma oppure, in subordine Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, (con qualche chance anche per Anna Finocchiaro e Donatella Ferranti del Pd, oltre a Maurizio Lupi e all’autocandidatura di Marco Pannella). Per l’Economia il nome in pole è quello di Fabrizio Saccomanni anche se ieri si è aggiunta l’ipotesi Lamberto Dini, oltre a Domenico Siniscalco. Pier Ferdinando Casini, grande sponsor del progetto delle larghe intese, vorrebbe mettere in campo per lo Sviluppo Economico Piero Gnudi, ex presidente Enel e tecnico avvezzo ai marosi della politica. Per quel ministero, però, sarebbe in corsa anche Lorenzo Bini Smaghi che dal primo gennaio diventerà titolare di una cattedra ad Harvard. Per l’Istruzione è possibile la conferma di Mariastella Gelmini, oppure la new entry rappresentata dal presidente Cnr, Francesco Profumo. Più staccato Rocco Buttiglione. Per Franco Bassanini è probabile la Pubblica amministrazione. Per la Salute si fa il nome di Umberto Veronesi. La riforma del mercato del lavoro potrebbe essere attuata da Pietro Ichino al Welfare (qualcuno aggiunge il nome di Sergio D’Antoni). Per le Infrastrutture circola il nome di Lupi. Ai Beni Culturali potrebbe andare l’ex presidente della Biennale di Venezia (e più volte ministro) Paolo Baratta. Per la Difesa resiste Ignazio La Russa mentre qualcuno sussurra il nome di Lorenzo Cesa per l’Agricoltura.

In ogni caso la vera partita inizierà oggi con le dimissioni del governo Berlusconi. A quel punto, nel giro di un paio di giorni, si capirà se la titanica impresa del neo-senatore a vita avrà reali possibilità di realizzarsi.

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