Amandolo profondamente, Pier Paolo Pasolini parlava e scriveva del calcio (oltre a praticarlo con buona tecnica, da ala leggera e brillante quale era) non come di un gioco, ma con lestrema serietà che meritano le cose importanti della vita, quelle che insegnano a comprenderla. In un articolo del 1971, egli afferma che «il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo)», mentre «il calcio in poesia è quello del calcio latinoamericano». Due scuole divise non tanto geograficamente, quanto culturalmente. Certo, esistono esempi sublimi di prosa europea in piedi sudamericani (pensiamo al razionalissimo brasiliano Falcao, o al geometrico uruguagio Schiaffino), e di poesia latinoamericana in piedi europei (Rivera, Platini...), per non parlare della ciclica fantasia olandese o danubiana e del rigido pragmatismo che mostrano spesso gli argentini. Però il teorema-Pasolini regge perché, a tutte le latitudini, il calcio è questo: prosa e/o poesia.
Raro è, invece, trovare entrambe le componenti in una squadra sola o addirittura in un solo uomo. Renato Cesarini era uno di questi uomini. Anche i più giovani lo avranno sentito nominare a proposito della cosiddetta «zona Cesarini», cioè quella terra di nessuno in cui spazio e tempo restano sospesi sul campo come una nuvola, in attesa del triplice fischio finale. Sono gli ultimissimi minuti, gli ultimissimi istanti della partita, quando chi sta vincendo già pregusta la festa e chi sta perdendo già avverte il dolore del fallimento. Tutta colpa di un gol marcato allo spirar di un Italia-Ungheria del 1931. Finì 3 a 2, grazie a una rete del «Cè» all89. Quando nel calcio, come nel resto della vita, ti appiccicano addosso unetichetta, nulla e nessuno te la potrà togliere. Per questo Cesarini resta, per il 95 per certo dei calciofili e calciologi, il goleador in extremis. Il restante 5 per cento, invece, del «Cè», del «Tano», del «maestro dei maestri», sa qualche cosa in più. Sa che nacque a Castellaro, una frazione di Senigallia, l11 aprile 1906, e che morì il 24 marzo 1969 a Buenos Aires; che fece la fortuna, da calciatore e da tecnico, del River Plate e della Juventus; che il suo talento cristallino nel giocare e nellinsegnare ne fanno una leggenda pallonara. Magari sa anche che rubò il cuore a molte donne, con quel ciuffo porteño e i modi da gentiluomo, e che sigarette e carte erano sue intime amiche. Tutto il resto, lamante del calcio come lezione di vita lo troverà nella bella biografia di «don Renato» scritta da Luca Pagliari: Zona Cesarini. Il calcio, la vita (Bompiani, pagg. 213, euro 8).
Cesarini poeta e prosatore, dunque. Cesarini che accarezza la sfera di cuoio con il suo destro vellutato e che esamina i suoi ragazzi come un professore, con severità e pazienza. Cesarini re dei night nella caliente Baires e nella fredda Torino, ma anche allenatore psicologo in netto anticipo sulle moderne pratiche motivazionali. Cesarini che apre una tangueria sotto la Mole e che studia manuali di medicina per recuperare in fretta da un grave infortunio. La storia del figlio di Giovanni, calzolaio, e di Annetta Manoni, potremmo intitolarla «La leggenda del Fantasista sullOceano». Il primo viaggio lo fece in fasce, quando i genitori, come migliaia di altri italiani in cerca di fortuna, simbarcarono sul piroscafo «Mendoza» alla volta dellArgentina. Lultimo fu nella primavera del 61 quando, fallito il salvataggio del Napoli dalla serie B, Renato tornò definitivamente in Sud America. Per narrare questa storia leggendaria, fatta di whiskey e brillantina, olio canforato e fango, tango e notti insonni, Pagliari ha ascoltato molte voci, un fiume di parole dedicate a un mito. Le parole sussurrate da Yuky Nannba, lattrice argentina che fu sua moglie, le parole affettuose dei suoi compagni e dei suoi allievi come Giampiero Boniperti, il signor Juventus. Le parole, soprattutto, del Cabezon Omar Sivori, per il quale Renato fu, letteralmente, un padre, fin dal giorno in cui il piccolo aspirante calciatore di San Nicolas fallì il primo provino per il River Plate, ma il fiuto finissimo del maestro gli concesse la prova dappello, lanciandolo così nellolimpo del fútbol.
Nel suo giro del mondo calcistico in 185 poesie dal titolo La solitudine dellala destra, Fernando Acitelli naturalmente incluse qualche anno fa anche «El Tano»: «Già, la fine, ma tu, scherzoso/ Cesarini, sei un brivido elegante,/ una festa che allalba si fora,/ il congedo e la risata in fumo/ poco prima dei saluti». Quel «brivido elegante» è la poesia che rotola accanto al cuoio, accompagnandolo fedelmente nei grandi stadi e sui campetti di periferia. Lì dove stava di casa «don Renato», prosatore in versi.
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