Nel tempio di Balotelli Renzo e Lucia si sposano in musical

Teatro a San Siro. Rappresentata con successo nella "Scala del calcio" l’opera che Guardì ha tratto dal romanzo di Manzoni

Nel tempio di Balotelli Renzo e Lucia si sposano in musical

È come se a un certo punto dall’altoparlante arrivasse la formazione: Renzo, Lucia, Perpetua, Griso, Nibbio; Monaca di Monza, Don Abbondio, Innominato; Bravi, Don Rodrigo, l’Innominato. Allenatore: Manzoni. I promessi sposi a San Siro. I controlli ai tornelli, la tessera del teatrante, i posti numerati. Entra nel teatro dei sogni. Un biglietto a persona, mi raccomando. Nome, cognome, carta di identità. Don Abbondio nel tempio di Balotelli è l’incontro di un luogo con il contenuto in un altro luogo. L’opposto in un mondo che ha bisogno sempre di trovare qualcosa da contrapporre. San Siro non conosce altro che palloni e decibel: ora si prende la delicatezza di un racconto che si muove sul confine del dramma. Si canta, si balla: il musical manzoniano ideato da Michele Guardì affonda nell’erba che riposa dopo essere stata torturata dai tacchetti dei calciatori.
La Scala del calcio, lo chiamano. San Siro è la cosa che s’avvicina di più a quello che vuoi. Basta non pensare a quello che hanno sempre detto, basta togliersi dalla testa le immagini che abbiamo sempre visto. C’è il palco, la gente, le parole: il contrasto tra quello per cui è nato San Siro e quello per cui viene usato oggi. Renzo è Walter Zenga di una volta: si dovrebbe voltare verso il pubblico e fare le facce che faceva l’Uomo Ragno dell’Inter. Era arrabbiato, era irrefrenabile. Renzo che non si dà pace sta in porta perché assomiglia sempre a un portiere che ha preso gol. Perché? Fermalo, fermalo, fermalo. Maledetti: se nessuno marca Don Rodrigo alla fine quello ti frega. Furbo, troppo furbo. Cattivo, troppo cattivo.

In fondo è tutto una partita di calcio: ci sono due squadre, ci sono i buoni, ci sono i cattivi, ci sono quelli che segnano, quelli che parano, quelli che sbraitano e quelli che faticano, ci sono i poveri che fanno fatica e i ricchi che si prendono quasi tutto quello che vogliono. I Promessi Sposi sono nati prima del pallone identificandone lo spirito. La partita è il matrimonio tra Renzo e Lucia: ogni settimana c’è qualcosa che ostacola il suo svolgimento, ci sono forze che spingono perché non si faccia. Poi c’è. San Siro ospita un dramma ogni domenica: dietro le quinte di un testo che prevede personaggi ogni volta diversi. I calciatori, gli allenatori, i tifosi, gli arbitri, i giornalisti: sono tutti protagonisti più o meno rilevanti di una sceneggiatura che potresti tranquillamente trasformare nei Promessi sposi.

Lo stupore che non ci dovrebbe essere c’è perché siamo disabituati alla normalità. Perché il tempio laico dei Balotelli non si apre mai alla signora in orecchini di perle e vestito in taffetà. Abbiamo sdoganato il concertone, ma nient’altro. Abbiamo accettato il rito del prato sfregiato dai fan di Vasco, degli U2, dei Negramaro. Però quando si aprono i cancelli nello stadio s’infila chi già lo conosce: la generazione degli ultimi fan rockettari è la stessa che la domenica si mette in coda agli stessi tornelli per tifare. Ci sono ragazzi e ragazze che conoscono posti e odori: l’hot dog al baracchino accanto alla biglietteria di San Siro è lo stesso sia alla partita di Champions dell’Inter, sia alla fine del concerto di Ligabue.

Gli altri no: chi frequenta i teatri ha il terrore dello stadio. Gliel’abbiamo insegnato noi: cori da stadio, gente da stadio, look da stadio. È la parte che identifica una frase e quindi anche il suo contenuto. Come se fosse il ghetto dell’anima prima che della società. Il contenitore delle emozioni arriva dopo, quando ormai il pregiudizio è già stato confezionato. Chi merita più riabilitazione pubblica tra Don Abbondio e Balotelli? Intanto ieri sera è toccato a Lola Ponce e alla sua squadra prendere gli applausi. ma è vero che siamo tutti figli dell’uno e fratelli dell’altro. Inevitabile anche per chi non si sente così. Quando si accendono i riflettori che cos’é? Un campo con al centro un palco. L’acustica, i microfoni, la scenografia. Conta quello, così come quando comincia una partita. Le parole le conosciamo già: sono le stesse del romanzo ottocentesco. I Promessi sposi sono l’eternità che si ripete, la replica di una replica di una replica. Stavolta la notizia è il luogo: San Siro è un colpo a effetto, il contrasto tra generi. Bianco e nero, positivo e negativo, cultura e popolarità. Siamo abituati a un mondo che non ha interferenze, per questo ci sembra strano. Lo è davvero? I Promessi sposi intrattenevano quando il calcio non c’era ancora. Il pallone li ha sostituiti. Ora li rimettono assieme, in un contrasto che sembra la follia del secolo.

Se c’è Mourinho perché non può esserci Don Rodrigo? È l’attaccante avversario, il personaggio che rende interessante la storia. San Siro si prende più sul serio la domenica d’inverno che in una sera di inizio estate. Ci sono i Promessi sposi. Chi vince?

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