Venezia - Alla fine dei conti il vero vincitore della Mostra è Valerio De Paolis, titolare della Bim, la casa di distribuzione che ha fatto il pieno di premi. Cinque per la precisione, tra Oselle, Coppa Volpi, Premio speciale della giuria e Leone d'oro. Ieri sera, in Sala Grande, era il più felice di tutti.
Com'è andata? Benone, a parte la girandola di voci e smentite proseguita per tutta la giornata. Magari sarebbe stato meglio non sdoppiare il Premio della giuria, aggiungendo in sovrappiù un Leone speciale, ma i sette registi hanno molto discusso, dodici ore, prima di consegnare il verdetto, ratificato solo ieri mattina. Dunque, per stare sulla fascia alta: rivince, a soli due anni da Brokeback mountain il cinese americanizzato Ang Lee, con Lust, Caution (Leone d'oro). Dietro di lui Redacted di Bran De Palma (Leone d'argento), 12 di Nikita Mikhalkov (Leone speciale per il complesso dell'opera), La graine et le mulet di Abdellatif Kechiche e I'm not there di Todd Haynes (Premi speciali della giuria ex-aequo), Brad Pitt e Cate Blanchett, migliori attori rispettivamente per The assassination of Jesse James by the coward Robert Ford e I'm not there (Coppa Volpi).
Purtroppo i due attori non sono venuti, essendo l'uno a Toronto e l'altra a Los Angeles a girare un film. Un brivido di delusione in platea, poi la festa è ripartita spedita, culminando nel Leone d'oro del giubileo attribuito a Bertolucci. Due standing ovation, la prima di cinque minuti, per il regista parmigiano, che s'è fatto strada sul proscenio aiutandosi con un deambulatore. «È una carrellata che dedico a tutti voi», ha sdrammatizzato spiritosamente, facendosi posare il Leone sull'attrezzo ortopedico. «Quante emozioni tutte insieme. Pensate a quanti film, sconfitte e vittorie, sono passati su questo schermo in 75 anni. Mi piace pensare che il premio che mi date contiene tutti questi film. Mi identifica con il cinema. Il massimo». A premiarlo Jonathan Demme e Abbas Kiarostami, devoti e gentili. «Non nascondo che alcuni dei loro film avrei voluto farli io», ha ricambiato la cortesia.
Era stata Stefania Sandrelli, raggiunta da Massimo Sebastiani, a inaugurare la cerimonia. Vestita Armani, aveva sussurrato con un pizzico di retorica: «Il cinema è la mia casa, la mia famiglia: una famiglia strana, diversa, misteriosa». In effetti è parsa una stranezza da star l'abbigliamento di Heath Ledger, salito per ritirare il premio andato a Cate Blanchett: giacchetta corta con le fodere delle tasche a vista, pantaloni al ginocchio, calze a righe bianche e rosse, cappelluccio nero. A un certo punto, forse scocciato, ha posato la coppa sul palco e quasi se ne andava, proprio mentre Ang Lee, a pochi metri, ricordava il magistero di Bergman e definiva il premio ricevuto «un Leone selvaggio e non addomesticato che mi spaventa come il film che ho girato». Più logorroico il franco-tunisino Abdellatif Kechiche, venuto insieme alla giovane attrice destinataria del premio Mastroianni. Lei piangeva come una fontana, lui ha intrecciato un interminabile duetto con la giurata Catherine Breillat. È probabile che s'aspettasse di più, il giovanotto, tutti i pronostici lo davano Leone d'oro, invece gli è toccato di dividere con Todd Haynes il Premio della giuria. Non ha fatto un plissé il russo Mikhalkov, un altro che sembrava fino all'ultimo in lizza per il Leone d'oro. Anzi citando Mastroianni e Fellini, ha ringraziato l'Italia «per la generosità che mi ha sempre dimostrato».
Molto meno espansivo Brian De Palma, dalla stazza ormai falstaffiana, il cui digitale Redacted sui misfatti dell'esercito americano in Irak è sembrato più innovativo di In the valley of Elah, grande sconfitto, ingiustamente, di questa Mostra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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