Nella cura dei tumori ovarici vince l’associazione di farmaci

Dalla rivista internazionale Annals of oncology arrivano novità sulla terapia del carcinoma ovarico, neoplasia maligna, che soltanto in Europa uccide ogni anno ventimila donne. L’autorevole pubblicazione americana ospita uno studio clinico multicentrico, arrivando alla conclusione che la doxorubicina liposomiale pegilata, in associazione con carboplatino, è molto efficace nelle pazienti già trattate in precedenza, ben tollerata e potenzialmente meno neurotossica.
Lo studio in parola - chiamato «Calypso» - è stato condotto su 634 pazienti colpite da carcinoma ovarico e già in cura con carboplatino. Il famoso oncologo Eric Pujade di Parigi, che è tra i coordinatori di «Calypso», ha affermato che sono molto promettenti i tassi di risposta e di sopravvivenza raggiunti e che «questa associazione terapeutica produce inoltre una minore incidenza di alopecia e di neurotossicità».
I soli effetti indesiderati registrati nel caso di questo studio sono stati di natura ematica (anemia, leucopenia); ma sono apparsi determinanti solo nel 4 per cento dei casi, consigliando l’interruzione della terapia. Non sono stati descritti problemi nell’area cardiocircolatoria né in quella cerebrale.
Lo studio «Calypso» conferma da un lato l’efficacia terapeutica della doxorubicina liposomiale pegilata (che è una formulazione del cloridrato di doxorubicina racchiuso in liposomi a lunga emivita) e dall’altro suggerisce l’opportunità di condurre altri studi clinici di altissimo livello e con una più alta partecipazione di pazienti.


Attualmente, nell’Unione Europea, doxorubicina liposomiale pegilata viene impiegata nella terapia del carcinoma mammario metastatico e del sarcoma di Kaposi (provocato dall’Aids) in soggetti con bassa concentrazione di linfociti.

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