Nella nostra esistenza diventata finzione narrare è uno specchio

Paolo Di Stefano prova a elaborare poeticamente il presente, in cui la realtà è permeata di invenzione

Nella nostra esistenza diventata finzione narrare è uno specchio

La crisi del narratore contemporaneo, il declino della fiction romanzesca e la sua fatale deriva verso forme ibride di racconto potrebbero essere dovute al manifestarsi di una realtà sempre più intrinsecamente permeata di finzione. Questa commistione tra il vero e l'inventato non è più solo un artificio letterario, ma una condizione esistenziale. Non a caso i social network hanno trasformato tutti i loro utenti in produttori di storie, spingendoli, talvolta, per ottenere visibilità e seguito, a inventare quotidianamente la propria vita. Questa necessità di auto-narrazione e auto-costruzione spinge le persone a immaginare una proliferazione continua di eventi, a creare un'epica personale spesso slegata dai fatti concreti.

Siamo sommersi da questa inflazione narrativa, da un diluvio di microstorie che nascono e muoiono di continuo. È un fenomeno che ha mutato profondamente il nostro rapporto con la narrazione: non più un'esperienza profonda e duratura, ma un'esplosione di fuochi d'artificio effimeri e senza memoria. La conseguenza diretta è una saturazione che rende difficile distinguere la qualità e l'originalità. Il lettore, o meglio, l'utente-lettore, è disorientato da questa sovrabbondanza. La narrazione tradizionale, quella che richiedeva tempo e dedizione, fatica a trovare il suo spazio in un panorama dominato dalla velocità e dalla gratificazione istantanea. La fiction, nel tentativo di sopravvivere, si contamina con la non-fiction, il reportage, l'autobiografia, in un disperato tentativo di recuperare credibilità e aderenza a una realtà che sembra sfuggirle di mano.

Il nuovo libro di Paolo Di Stefano, Una giornata meravigliosa (Feltrinelli), sembra rispondere a questi interrogativi e suggerire una possibile elaborazione poetica della condizione presente.

Utilizzando alcune citazioni poste in esergo al testo, Di Stefano indica al lettore alcuni usi possibili di questo singolare libro. Si parte dal verso montaliano classico de La casa dei doganieri, dove si evoca lo smarrimento di fronte al dissolversi forse insensato delle cose e dei fatti, la potenziale perdita definitiva del passato. Questo senso di precarietà e nostalgia si contrappone subito dopo allo spiazzante balzo nel vitalismo bukowskiano e alla sua adesione stupefatta al mondo così come viene, senza filtri o giudizi. Tuttavia, l'essenza del volume si snoda soprattutto attraverso le citazioni di Mark Twain e Pessoa. In riferimento allo scrittore americano, troviamo una raccomandazione cruciale: scrivere non è semplicemente documentare i fatti in modo passivo, ma è provocare una loro curvatura di senso, una sottile ma significativa distorsione che ne rivela aspetti nascosti. Infine, troviamo il grande autore portoghese Pessoa che immagina la possibilità di uno sguardo puro ed evanescente sulla realtà, privo di un'appartenenza concreta e personale, quasi assoluto proprio perché divenuto impersonale.

Appena apriamo il libro, ci troviamo subito di fronte a tutti questi elementi. Il racconto non ha altra organizzazione che il documento di quel che accade in una giornata possibile e verosimile. Ci sono riferimenti precisi che cadenzano lo svolgimento, dalla data ai momenti orari, quasi a suggerire una meticolosa registrazione del tempo. Non c'è, però, l'anno, quasi a rendere incerta ogni identificazione storica o troppo ingenuamente realista. Tutto ciò che Di Stefano racconta è possibile, e talvolta si può ragionevolmente pensare che sia accaduto. Anzi, spesso si ha l'impressione di sapere con certezza quale sia il riferimento reale del racconto. Nello stesso tempo, però, l'autore mette tutto in epoché, in una sospensione del giudizio che lascia il lettore in uno stato di stupore e perplessità. La narrazione ci spinge a chiederci se quel mondo descritto sia proprio coincidente con quanto crediamo di aver visto o vissuto, oppure se nasconda un significato più enigmatico e stupefacente che solo la letteratura, con la sua capacità di guardare oltre la superficie delle cose, può far apparire. La sua scrittura si muove su un crinale sottile tra cronaca e invenzione, tra un'aderenza quasi fotografica alla realtà e una sua reinterpretazione profonda, rendendo ogni pagina un'indagine sul significato di ciò che definiamo "vero".

Da un lato emerge una potente coralità, dove una vasta pluralità di voci si alterna e s'intreccia. Queste voci variano di continuo per registri, stili e prospettive, ma riescono a fondersi in modo avvincente e trascinante, creando un'esperienza di lettura quasi polifonica. Non si tratta di un semplice susseguirsi di monologhi, ma di un dialogo implicito e continuo che costruisce un affresco della realtà vivo e pulsante. Questa eterogeneità si traduce in un testo che respira, che si muove e che sorprende il lettore a ogni pagina, permettendo di entrare in contatto con sensibilità e modi di pensare diversi.

Dall'altra parte, in netto contrasto con questo coro di voci, si trova la comparsa, quasi puntiforme, della figura del narratore. Questa figura è quasi ontologicamente priva di consistenza, un'entità evanescente che non rivendica per sé uno spazio autonomo o una personalità definita. Egli non è l'architetto che plasma la storia a proprio piacimento, ma piuttosto il luogo di confluenza della meraviglia che scaturisce dallo spettacolo della realtà. La sua presenza è un puro atto di ricezione, un punto di raccordo attraverso il quale le diverse voci e prospettive si riversano, trovando una sorta di risonanza. Il narratore diventa così una superficie riflettente, dove l'energia e la complessità del mondo esterno riverberano nelle magmatiche pagine del libro, senza che egli vi apponga un'impronta troppo visibile o dominante. La sua discrezione non è una debolezza, ma la condizione stessa che rende possibile la sinfonia delle altre voci. Ed è così che in questo libro trovano posto vicende molto diverse ed emblematiche, offrendo un affresco vivido e dinamico della vita italiana contemporanea. L'autore introduce protagonisti inattesi e suggestivi come per esempio alcuni stranieri che vivono nel nostro Paese. Le loro storie si intrecciano con ritratti di intellettuali, vicende d'infanzia e persino una vincita alla lotteria. Questa eterogeneità tematica e di personaggi crea un panorama narrativo ricco e sfaccettato.

Tuttavia, nonostante la loro diversità, tutti questi destini sono in lotta, accomunati da un senso di precarietà e di ricerca di un proprio posto nel mondo. Ogni storia, sia essa un dramma migratorio o un ricordo d'infanzia, è sospesa tra il passato e un futuro incerto, tra il desiderio di stabilità e il richiamo del cambiamento. Questo senso di sospensione conferisce a ogni vicenda una qualità romanzesca, trasformando frammenti di quotidianità in narrazioni epiche e toccanti. L'autore riesce a dimostrare come la vita di ogni giorno, anche quella apparentemente più insignificante, sia in realtà un campo di battaglia emotivo e un serbatoio infinito di storie degne di essere raccontate.

La piacevolezza del libro è basata su uno stile affettuoso e ironico, una combinazione che rende la lettura non solo scorrevole, ma anche emotivamente coinvolgente. Paolo Di Stefano, con la sua abilità nel modulare le giuste tonalità espressive, non si pone mai in una posizione distaccata. Al contrario, il suo approccio è quello di chi è conquistato dal mondo che sta riconfigurando nel racconto, quasi un esploratore che si innamora del paesaggio che sta mappando. Questa sua partecipazione emotiva rivela una concreta adesione alla varietà degli avvenimenti, un'empatia profonda che permea ogni pagina.

È come se nella loro rievocazione letteraria, nel momento in cui trovano posto nell'ordine cosmico della giornata, gli eventi possano finalmente acquietarsi e forse redimersi. La scrittura di Di Stefano non è solo un atto di memoria, ma un vero e proprio atto di pacificazione. Egli conferisce agli accadimenti un nuovo significato, una luce diversa, che li eleva dalla semplice contingenza a una dimensione quasi atemporale. L'ironia non serve a sminuire, ma a sottolineare la tenerezza e l'assurdità della vita, mentre l'affetto è il filo conduttore che lega ogni frammento, ogni voce e ogni dettaglio.

È questo profondo legame con la materia narrata che rende il libro un'esperienza autentica, offrendo al lettore la possibilità di partecipare a questa pacificazione e di vedere la realtà con occhi nuovi, più sereni e curiosi.

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