Antonia Pozzi è morta nel 1938, quasi 70 anni fa. Il 2 dicembre di quellanno, come tante altre mattine, si recò regolarmente allIstituto Tecnico Schiaparelli di Milano, in zona Sempione, dove insegnava. A metà mattinata, chiese di uscire prima dalla scuola. Si diresse verso labbazia di Chiaravalle, forse in bicicletta o forse in tram. Lì, si sdraiò su un prato vicino alla Certosa, nel gelo, e ingerì un tubetto di barbiturici. Fu trovata parecchie ore dopo, priva di sensi, da un contadino. Morì il giorno successivo al Policlinico. Aveva 26 anni, ed era bellissima.
Antonia Pozzi a Milano muore, e a Milano nasce, nel 12, da una famiglia lombarda alto-borghese che abita in unelegante casa di via Mascheroni: il padre è un noto avvocato, la madre è la contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi. Inizia a scrivere poesie e a tenere un diario fin da ragazzina, quando frequenta il ginnasio al liceo Manzoni (è qui che sinnamora del suo professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi, iniziando una relazione difficilissima, sofferta, contrastata in maniera violenta dalla famiglia e che sarà interrotta nel 33, ma che dentro di lei continuerà fino alla morte) e poi durante gli anni delluniversità, alla Statale, dove trova forti amicizie e illustri maestri: Vittorio Sereni, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, Dino Formaggio e Antonio Banfi, con il quale si laurea discutendo una tesi su Flaubert.
Nel suo scritto di addio ai genitori, Antonia Pozzi parla di «disperazione mortale». La famiglia negherà la circostanza scandalosa del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il suo testamento fu distrutto e poi ricostruito a memoria dal padre, che «depurò» anche le poesie; e la storia damore con il professor Cervi sarà falsamente descritta come una relazione platonica. In vita Antonia Pozzi non pubblicò neppure un verso. Il suo primo libro di poesie, Parole, esce postumo, nel 39. Oggi è considerata una delle grandi poetesse italiane del Novecento.
Poesia, quindi. E fotografia, poi. Antonia Pozzi scopre la fotografia nel 1929. Nei dieci anni che le rimangono da vivere scatterà circa 2.800 immagini, un fondo fino a oggi inedito e sconosciuto al pubblico conservato nellArchivio Pozzi a Pasturo, in Valsassina, dove la famiglia trascorreva le vacanze estive nella settecentesca villa dei Marchiondi, accanto alla Grigna, e dove la poetessa scriveva e riceveva gli amici nel piccolo studio che guardava il suo «Monte Ventoso». Oggi, una scelta di quelle fotografie - una settantina in tutto, affiancate da commenti di sua mano, poesie e citazioni - vengono pubblicate per la prima volta nellantologia fotografica Nelle immagini lanima (Àncora, pagg. 112, euro 22; a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino) e sono al centro di una mostra che si inaugura mercoledì 28 marzo, fino al 14 giugno, alla Fondazione Corrente di Milano (via Carlo Porta 5, www.fondazionecorrente.it).
Sono foto bellissime, in bianco e nero e color seppia, immagini alternative e complementari alla parola poetica: per la scrittrice gli oggetti, i paesaggi, le persone hanno un loro sentimento, una loro «faccia» nascosta - unanima - che lobiettivo (così come il verso in poesia) deve cogliere per concedergli quelleternità che la realtà lascia appena intravedere. Poesia e fotografia: due voci di una stessa verità.
Ed ecco la Milano della sua giovinezza, i Navigli, la fiera di Porta Genova, le scampagnate nei prati di periferia, come era allora Porto di Mare, o alla Zelada di Bereguardo, sul Ticino; la sua montagna, a Pasturo, in Valsassina, o in Val dAyas; e la Lombardia rurale - le risaie, i fossi, laratura dei campi, la fienagione - un mondo che amava e sul quale, come confessa alla nonna nellestate del 38, avrebbe voluto scrivere un romanzo storico, che però non iniziò mai. Il suo tempo stava per scadere.
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