Le rappresentazioni estive del Teatro San Carlo di Napoli si svolgono questanno a Baia, in quelle località dense di antichi misteri nelle quali i ricchi romani solevano trascorrere nella frescura dei boschi i mesi estivi, a purificarsi nelle acque delle sorgenti termali che circondavano le grotte della Sibilla Cumana e il pauroso lago di Averno. Ma la fama della località, primordiale scenario del mito ambientato fra le scogliere di Capo Miseno - dove era approdato Ulisse - e le lunari fumarole della Solfatara di Pozzuoli, attirava un pubblico sempre più vasto tanto che le testimonianze di Orazio («Nullius in orbe sinus Bais praelucet amoenis»), di Tito Livio, di Virgilio, di Petronio, del poeta Marziale e dello stesso Cicerone, fanno intendere quale genere di paradiso si poteva trovare in quei siti «tana di tutti i vizi!», come diceva il moralista Seneca che pur la frequentava.
E par di vederli questi antichi romani dediti agli ozi della campagna napoletana, nelle statue che sono state ritrovate sommerse dal grande bradisismo che ha fatto sprofondare la «dorata spiaggia della beata Venere», oggi esposte nel Castello Angioino che sovrasta le coste del litorale di Baia. Viene facile rievocare quel bel racconto di Anatole France, Il procuratore della Giudea, nel quale un celebre procuratore, che potrebbe essere stato Ponzio Pilato, riceve la visita di un vecchio commilitone che rammenta i tempi trascorsi nella colonia romana di Palestina. E dopo i ricordi delle scorribande, delle lunghe cavalcate nel deserto, dei baccanali e dei pranzi, il visitatore chiede con noncuranza: «E ricordi come si chiamava quellebreo che avete crocefisso e che vi ha causato tante contrarietà?». «No, non lo ricordo», risponde freddamente il procuratore.
Ma forse erano quei soggiorni incantati dalla dolcezza del clima che cancellavano tutto ciò che di spiacevole poteva esserci in un ricordo. E anche noi vorremo non ricordare la trama drammatica della Cavalleria Rusticana, riproposta su queste antiche sponde. Ma le suggestioni che la musica procura sono davvero illimitate; così che la voce del grande tenore Victor Afanasenko, nel palcoscenico naturale delle Antiche Terme di Baia animate dalla regia di Maurizio Scaparro, sembra perdere le sue inflessioni russe, alla Chaliapin, per assumere le modulazioni di quellaltro lontano interprete che proprio al San Carlo con Cavalleria «spopolò»: Enrico Caruso col suo tremendo «Bada Santuzza che schiavo non sono di questa vana tua gelosia...» che ha legato la storia siciliana di Verga a Napoli. Lopera, a parte tutte le suggestioni, è stata già magnificamente interpretata anche dallo stesso Feodor Ivanovich Chaliapin nel 1907, il quale era in vacanza a Capri a visitare lamico Gorkij. E ci sembra di vederlo il grande Chaliapin, processato per gioco dai fuoriusciti di Capri nella grotta di Matermania per essersi inchinato di fronte allo zar.
I Campi Flegrei, ossia Campi Ardenti, dopo la Sibilla e tutti quegli oracoli che si erano stanziati nella colonia calcidese che la leggenda voleva fosse stata fondata su indicazione di un colomba inviata da Apollo, dopo Ulisse sono stati percorsi da molti spiriti eletti e immortalati dai magnifici dipinti di pittori come Hackert e quei paesaggi, che si possono rivedere nel Museo di Capodimonte o nella Reggia di Caserta, sono oggi tornati ad essere un ineguagliato itinerario archeologico, una sorta di trasfigurato Grand Tour settecentesco, offerto al pubblico nella contemplazione delle sue vestigia attraverso spettacolari messe in scena, dal teatro alla musica alla poesia.
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