Nello scontro finale a sinistra, il flop del prodismo

Nello scontro finale a sinistra, il flop del prodismo

Sbaglia chi confina lo scontro a questioni di ambizioni personali o a solo fatti di carattere che pure ci sono: si consideri l'ombrosa testardaggine di Prodi e una certa fragilità di fondo di Veltroni che, evitando gli affondi opportuni in tempi certi, ha contribuito a lasciare l'Italia in questo pantano.
Ma una così grave divaricazione del centrosinistra è fondata su fatti pesanti e strutturali. Quello a cui stiamo assistendo è lo scontro finale tra la sinistra del vecchio potere e quella che, un po’ vaporosa, cerca nuove vie.
L'Italia se la passa da grande Paese occidentale, ma vi sono molti fattori che piuttosto la accomunano alle società uscite dal socialismo reale. Questo giudizio potrebbe apparire una blasfema liquidazione di una grande forza politica nazionale come la Democrazia cristiana che ha salvaguardato la libertà in Italia e l’ha portata a divenire la quinta economia mondiale. Eppure i terribili condizionamenti con cui la Guerra Fredda ha segnato un Paese di frontiera come il nostro hanno portato a trasformare il nostro sistema in un sistema con caratteristiche da socialismo reale: innanzitutto il peso dello Stato nella vita della società, la presenza di una nomenklatura diffusissima (circa un milione di persone vivono di politica in Italia) e l'incredibile strapotere di poteri oscuri nella magistratura, nel sistema economico (in particolare bancario) che hanno tratti quasi putiniani.
La testardaggine di Prodi ha dunque una base nella società italiana. E proprio questa base «solida» consente al premier, nonostante il suo scarso seguito personale, di condizionare un arco vasto di forze politiche. Perché Prodi dopo essere stato il profeta del maggioritario, è diventato il re dei partiti nanetti? Perché la difesa della logica interna del potere italiano gli dà le basi per interloquire con qualsiasi micronomenklatura, non solo di sinistra: a meno che naturalmente le bizzarrie della magistratura non arrivino ad arrestare, con motivazioni discutibili, la moglie del ministro della Giustizia. Proprio la capacità di fare il surfista sui nodi dei poteri più oscuri, consente a Prodi di tenere bene a freno anche volpi come Franco Marini e Massimo D’Alema.
Proprio queste caratteristiche strutturali del prodismo sono però messe in scacco da quelle forze che nella sinistra cercano il rinnovamento. Questo avviene anche all’estrema sinistra con Fausto Bertinotti che vorrebbe costruire un movimento antagonistico ma di governo. Ma la sfida vera è quella di Veltroni. Non sono un estimatore del segretario democratico, il suo percorso è stato aperto dalla grande stampa, dal Corriere della Sera e dalla Repubblica, che mediano opinioni di importanti aree della società con disegni spesso assai poco lineari. La sua cultura è molto eclettica, il suo sistema di potere e i suoi risultati come sindaco non mi piacciono. È vero, però, che il presidente del Pd alla fine ha colto come i ceti urbani di cui lui e tanti altri amministratori di sinistra sono espressione non tollerano più il potere ossificato alla Prodi, non sopportano le mille nomenklaturine, le trame oscure del potere italiano.
È la base sociale, sono i punti di avanguardia del centrosinistra (le amministrazioni locali) che hanno spinto Veltroni a essere addirittura coraggioso, a fare la cosa più spericolata per un uomo della sinistra italiana: avere un confronto leale con Silvio Berlusconi.
Ora Veltroni sta ballando. Ieri, al fondo, il dibattito sulla fiducia a Prodi, a sinistra, è quasi diventato un voto sulla fiducia al segretario del Pd.

Ma al fondo nella classe dirigente ex margheritina ed ex diessina vi è la consapevolezza che se non si apre oggi la società italiana, si finirà come in quei Paesi ex socialisti dove gli uomini del regime precedente hanno tenuto con le unghie e i denti il vecchio potere per un po’, ma poi sono stati cacciati implacabilmente dai loro popoli.

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